L’Ucraina non è il nostro Cinema
- Lorenzo Pucci
- 18 mar 2022
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 19 mar 2022

Il lavoro del giornalista non è semplice: bisogna avere una certa dimestichezza con le fonti, un’ottima conoscenza pregressa degli argomenti che si trattano e infine una certa abilità nel trasmettere le notizie al lettore. È il caso di soffermarci sull’ultimo punto, parlando di un male che da diversi anni sta affliggendo il giornalismo italiano.
Spesso, in un contesto mondiale sempre più globalizzato, è molto facile arrivare alla fonte delle notizie e trovare ogni genere di informazione. Nell’ambito della cybersicurezza esiste una branca chiamata OSINT, dall’inglese Open Source Intelligence, che permette di trovare svariati tipi di informazioni su determinati argomenti. I limiti sono pochi, tutto dipende dal contesto.
In un contesto come quello di una guerra, il grado di violenza delle informazioni è ovviamente alto. Senza però prenderci in giro, non c’è niente di eroico e di romantico in un conflitto. Prendiamo per esempio le immagini che in questi giorni abbiamo visto dall’Ucraina: gli articoli web sono un ammasso di immagini che raffigurano la morte e la distruzione dei combattimenti.
Se è vero che la guerra è questo, va anche detto che c’è un errore di fondo nel raccontarla. Molti la chiamano pornografia del dolore, un termine entrato con forza nel dibattito pubblico in seguito alla spettacolarizzazione, da parte di tanti salotti televisivi, delle vicende di cronaca che raggiungevano un grado di interesse nazionale.
Stando all’osservatorio di Pavia Media Research, in molti programmi tv e non solo c’è un’eccessiva strumentalizzazione del dolore. Si punta su racconti empatici che possono permettere al lettore o allo spettatore di potersi riconoscere nella storia, o quantomeno di poter familiarizzare un minimo con il dolore che le vittime delle vicende, o i familiari, provano. Le statistiche dicono che circa il 79% del tempo totale nelle trasmissioni televisive viene usato per parlare di omicidi e scomparse. [1]
La stessa identica cosa sta accadendo con le immagini che vengono dalle aree bombardate dall’aeronautica russa in Ucraina. È giusto documentare gli orrori causati dalla guerra, ma allo stesso tempo c’è un’attrazione morbosa verso non tanto i fatti drammatici, ma la vita delle persone che muoiono, senza magari dare un contesto dei fatti per aiutare a capire cosa sta accadendo.
È così che la foto di una bambina con in braccio un fucile e in bocca una caramella diventa un simbolo e non una conseguenza devastante della guerra, specie se consideriamo che l’immagine poi è stata costruita ad arte per “denunciare i crimini di Putin”. [2]
È così che i morti di quella che sta diventando a tutti gli effetti una carneficina non hanno neanche più il diritto di riposare in pace, come se dovessero morire più volte per soddisfare la sete di like dei giornalisti.
Ed è così che i vivi, che lottano per sopravvivere in questo contesto di morte e distruzione, si trovano costretti a fare i conti con la spettacolarizzazione fine a sé stessa della loro condizione.
Quanto espresso in questo articolo è basato sulle opinioni dell'articolista che non necessariamente riflettono la linea editoriale di TocToc Sardegna
Fonti:
[1] G. Persico, La pornografia del dolore: quando il male crea piacere, Salgo Al Sud, 16 giugno 2021, https://www.salgoalsud.it/2021/06/16/la-pornografia-del-dolore-quando-il-male-crea-piacere/
[2] D. Puente, La vera storia della bambina ucraina con fucile e lecca lecca: non è una combattente”, Open, 14 marzo 2022,
Foto copertina: Chiesa di sant'Andrea, Kiev (fonte StockFreeImages)
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