I Signori della droga
- Alessio Arriu
- 24 ago 2021
- Tempo di lettura: 7 min

Premessa
L'ultimo mezzo secolo dello stato afghano è stato attraversato da continue lotte tra signori della droga, talebani e Stato, dipendenze dagli aiuti esterni e il primato mondiale di produzione dell'oppio. Un predominio nel campo nato al tempo del proficuo traffico del triangolo Birmania-Laos-Thailandia, quando i trafficanti pakistani videro nell'Afghanistan un'espansione del Pakistan in funzione anti-indiana. Già nel 1992 le produzioni arrivavano a 220-240 tonnellate di oppio grezzo e nel 2007 l'Afghanistan detenne il 93% di produzione d'oppio di tutto il mondo. [1] In questi ultimi anni vi sono state campagne volte ad eradicare l'oppio dai terreni afghani per passare a coltivazioni alimentari, ma senza riscuotere un buon risultato. Dopo che l’ultimo approfondimento di Roberto Saviano sul Corriere della Sera ha riportato la questione al grande pubblico, la coltivazione dell’oppio in Afghanistan e il suo traffico sono tornate ad essere argomento di dibattito.
I talebani
Per comprendere al meglio il narcotraffico nell’Asia centrale e nel Medio Oriente, bisogna conoscere il movimento dei talebani.
Il ritiro dell’URSS dall'Afghanistan, portò ad una guerra civile che vide contrapporsi principalmente due fazioni: una più moderata guidata da Burhanuddin Rabbani, e l'altra islamista, guidata da Gulbuddin Hekmatyar, uno dei capi dei mujaheddin (erronea traslitterazione giornalistica di mujāhidīn, ovvero coloro che combattono la jihād, ndr). Questo periodo venne segnato dal caos provocato da queste fazioni che riscuotevano "tasse" tra la popolazione, attraverso anche semplici posti di blocco, in modo tale da massimizzare la riscossione del denaro.
Questa situazione cambiò quando l’ISI - il servizio segreto pakistano - favorì la nascita di un movimento di combattenti provenienti dalle madrase [2] del sud in contrapposizione con i mujaheddin di Hekmatyar e gli ex mujaheddin dell’Alleanza del Nord. La destabilizzazione del territorio fece perdere il consenso verso i mujaheddin tra la popolazione, finendo per agevolare l’ascesa del movimento talebano, consolidatosi a Kandahar dove la maggior parte dei residenti aveva le stesse origini etniche pashtun degli “studenti” (traduzione italiana della parola pashtu "talebani", ndr).
Inizialmente i talebani si differenziarono dai mujaheddin in quanto non applicarono le torture verso gli avversari e non sottomisero le donne, diversità che non durarono a lungo, perché nel 1996, una volta preso il potere, adottarono una politica repressiva basata sulla Sharia. Il governo iraniano e quelli di altri altri Paesi asiatici temevano sin dalla fondazione del movimento che la guerra si espandesse a nord del Tagikistan, e che potesse minacciare le frontiere post-Unione Sovietica, temendo anche un’alleanza statunitense col Pakistan e gli Emirati Arabi Uniti per poter sfruttare l’influenza talebana.
Come riporta il libro di John K Cooley [3], questa congettura fu un'esagerazione, in quanto i talebani furono creati dall' ISI pakistana per contrastare l'influenza iraniana nella regione che agli occhi dell’Occidente e dei russi sarebbe stata inaccettabile.
Conquistata Kabul, il nuovo regime non poteva però sostenersi da solo o su aiuti provenienti dall’estero. È anche per giovare del potenziale economico che il mercato dell’oppio possedeva che gli studenti coranici espugnarono le valli afghane. La politica dei talebani sul papavero da oppio è ambigua. Il 26 agosto 1996 venne messo al bando il traffico di hashish ed eroina, ma di piantagioni di oppio non se ne parlò. Questo fu visto di buon occhio dall' UNDCP - Ufficio Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, che in quegli anni proseguiva una guerra contro la droga nella Mezzaluna d'Oro, territorio con la maggiore concentrazione di oppio al mondo. [1] Per conseguire l'obiettivo, l’agenzia ONU ingaggiò studiosi dell'Islam per sostenere la causa contro il narcotraffico, dicendosi pronta all’erogazione di fondi per favorire coltivazioni di frutta che sostituissero quella dell’ oppio. Tuttavia, i risultati furono limitati: il problema di fondo risiedeva nella chiusura dei talebani verso gli Stati Occidentali e i loro funzionari, in quanto i taleb si consideravano gli unici interpreti della legge islamica. Anche per questo non emanarono alcuna regola chiara sull'eroina se non un fittizio divieto di coltivazione dell’oppio mai applicato. Con la conquista di Kabul nel 1996, i leader talebani si accorsero che opponendosi al traffico di droga avrebbero potuto controbilanciare l'ostilità dell'Occidente verso le pratiche disumane applicate da loro stessi. Tuttavia, la produzione dell'oppio non diminuì per il bando ma per le condizioni climatiche e i problemi locali di produzione.
La politica antidroga di facciata dei talebani fu utilizzata da questi come mezzo di negoziazione con Europa e Stati Uniti, con i primi che volevano mantenere ben salda la narrazione secondo la quale sarebbero stati in grado di stabilizzare il territorio, narrazione che col senno di poi non resse, mostrando alla comunità internazionale la vera faccia del movimento talebano.
Le rotte del traffico
Le rotte di droga in entrata sono essenzialmente tre: la rotta del Nord, che provenendo dall'Afghanistan attraversa il Turkmenistan; la rotta del Sud, che interessa la provincia autonoma del Sistan e del Baluchistan al confine tra Afghanistan e Pakistan; e la rotta di Hormozgan, funzionale al trasferimento dei carichi via mare.
La rotta del Nord passa dall'Iran e procede verso la Turchia che è fondamentale per il traffico europeo. I flussi riguardano la parte orientale del confine con l'Iran che con i percorsi montuosi rende il flusso meno rintracciabile dalle forze di polizia. Dalla Turchia i flussi seguono il percorso caucasico che si dirama verso i paesi dell'Europa dell'Est, delimitati da frontiere poco controllate e dove la lingua russa in comune aiuta gli scambi. Dai dati forniti sul blog di Nico Piro, giornalista del TG3 per diversi anni inviato in Afghanistan, questa rotta starebbe perdendo attrazione a favore della rotta via mare che da Karachi arriva in Africa, in particolare in Nigeria e in Kenya. [4] La rotta pakistana è la più incontrollabile per l’assenza quasi totale di controlli alle frontiere ed è attraversata da una direttrice che viaggia da est verso ovest per arrivare poi alla rotta balcanica. La rotta russa invece si dirama tra nazioni post sovietiche, arrivando in Nord Europa per poi confluire nella rotta balcanica, un tragitto che ha preso ispirazione dal ripiegamento dell'Armata Rossa dal confine tra Tagikistan e Afghanistan.
Indigenti, bambini e donne trasportano quantità minime, mentre per i trasporti importanti si utilizza la via aerea e navale che attraversa il Mar Caspio, passando dall'Uzbekistan fino alla Federazione Russa. Attraverso questa rotta la Russia ha acquistato un ruolo importante nel traffico, diventando un fiorente mercato da 10 miliardi di dollari all'anno grazie anche alle comunicazioni tra le nazioni post-sovietiche. L'85% degli oppiacei che entrano in Russia vengono consumati dentro lo stato mentre il restante 15% viene trasportato in Europa.
Stime
La produzione afghana di narcotici ha raggiunto il picco del 93% del mercato mondiale nel 2007. Negli anni successivi il traffico incrementò ancora, vista la decrescita delle province poppy free (libere dalla coltivazione di papavero, ndr), da 19 a 17 sulle 34 totali.
Negli ultimi anni la produzione è aumentata con l'instabililtà dello stato soprattutto nelle regioni gestite dai talebani. La produzione balla tra una provincia e l'altra, dimostrando la flessibilità dei narcotrafficanti e la difficoltà delle forze afghane a contrastarne concretamente le attività. Le province più produttive sono quelle che confinano con lo stato del Pakistan che nel 2008 hanno prodotto il 78% dell'oppio afghano. Tra queste la provincia Helmand è arrivata a produrre nel 2007 il 66% dell'oppio afghano con 103.590 ettari coltivati, ridottisi a 68.883 nel 2009, con una produzione di oppio superiore del 49% rispetto al 2006 e quattro volte superiore rispetto al 2005.
La produzione non è distribuita in tutti i distretti in modo uguale; otto province producono il 98% del totale: Helmand, Kandahar, Uruzgan, Daykundi, Zabul, Farah, Ghazni e Nimroz. Secondo una stima dell'UNODC le aree coltivate sarebbero passate da 193 mila ettari nel 2007 a 157 nel 2008 per poi arrivare a 123 mila nel 2009. La GLE [5] e la PEF [6] guidarono le campagne per eradicare le piantagioni, ma furono un fallimento perché le eradicazioni furono poche e in continua diminuzione di anno in anno, vista anche l'opposizione delle milizie. Sui programmi ha poi pesato anche la diffidenza del popolo verso la coalizione occidentale, alimentata dalle vittime civili del conflitto e dalla perdurante carenza dei risultati.
Vi è un aspetto importante da non dimenticare che riguarda la popolazione contadina afghana: questi ultimi dipendono dalla coltivazione dei campi di oppio in quanto senza di essi non potrebbero sopravvivere. Secondo quanto riportato nel blog di Nico Piro i contadini sono legati ai talebani da contratti iniqui che prevedono il pagamento alla semina, trovandosi facilmente ogni anno in debito. [4] Per evitare il fallimento della propria economia familiare e le violenze, molti afghani son costretti alla coltivazione dell’oppio. In questo scenario i talebani non sono narcotrafficanti in senso stretto, ma si limitano ad agevolare il narcotraffico dietro pagamenti, creando rotte sicure per il flusso di stupefacenti.
Conclusioni
Dai dati analizzati si evince quindi che gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo importante nella destabilizzazione dell’Afghanistan, sin dagli anni '80, con il finanziamento dei mujaheddin di Hekmatyar e di Afridi, senza tener conto delle conseguenze che sarebbero sorte da queste collaborazioni, ovvero rendere la Mezzaluna d'Oro la terra dell'eroina.
Dopo l'11 settembre l'Afghanistan arrivò a produrre il 93% dell'oppio mondiale. [7] Questo dato dimostra come l’approccio adottato dagli USA nella questione afghana, così come in quasi tutti i teatri di guerra dal dopoguerra ad oggi, sia stato inefficace non solo nella parte relativa al nation building [8] in senso stretto, perché uno stato democratico non si costruisce dall’alto, ma anche per il suo utilizzo in politica estera, finendo per diventare uno specchietto per le allodole che ha tenuto ben nascosti i veri intenti degli Stati Uniti riassunti nella cattura di Osama Bin Laden, usata in questi giorni dal presidente Biden per ribaltare quello che agli occhi dei media internazionali viene visto come un fallimento. La responsabilità è imputabile non soltanto a Biden, che si è limitato ad accompagnare la linea politica intrapresa dai presidenti precedenti, ma alla politica statunitense in toto, a partire dalle politiche scellerate intraprese da George W. Bush e i neocon all’indomani dell’undici settembre di vent’anni fa, fino agli accordi di Doha siglati da Trump.
Ultimo aspetto, ma non per importanza, riguarda le vere vittime di tutta la questione, gli afghani, da un lato costretti a lavorare per saldare i debiti con i signori della guerra, dall’altro illusi da vent’anni di promesse non mantenute dagli Occidentali, ma comunque determinati nella ricerca di un'uscita da questo stato di guerra infinito.
Fonti e note:
[1] Mezzaluna d'oro, Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Mezzaluna
[2] Scuole religiose [3] Cooley John K., Una Guerra Empia, Elèuthera, 2000
[4] Governor Led Eradication
[5] Poppy Eradication Force [6] Nico Piro, La narrazione dell’oppio afghano è sbagliata, proviamo a riscriverla, Tashacor, 20 agosto 2021, https://nicopiro.it/2021/08/20/la-narrazione-delloppio-afghano-e-sbagliata-proviamo-a-riscriverla/
[7] Redazione, Afghanistan: raccolta oppio +34% in un anno, Corriere della Sera, 27 agosto 2007,
https://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2007/08_Agosto/27/afghanistan_oppio_onu.html [8] Operazione adottata dagli USA e dalla NATO volta a instaurare nel territorio appena liberato una struttura democratica pluralista secondo i canoni Occidentali.
[9] Afghanistan Addio!, liMes, Vol.2, 2010
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