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Afghanistan, la fine dei vent’anni

  • Lorenzo Pucci e Matteo Cardia
  • 20 ago 2021
  • Tempo di lettura: 11 min

Una bandiera bianca in Afghanistan assume un significato diverso. Se issata, determina confini e potere, non arrendevolezza. Una moltitudine di bandiere bianche, spesso arricchite da scritte in nero che testimoniano la fede di chi le porta con sé, hanno ripreso a sventolare su tutto il territorio afghano. In poco più di quattro mesi i talebani hanno ripreso il controllo dello Stato che divide l’Asia in due, capace di inghiottire tra le proprie valli e montagne gli interessi e le strategie delle più grandi potenze mondiali dall’Ottocento ad oggi.

Dopo quasi vent’anni di guerriglia, gli “studenti” sono rientrati a Kabul. E sono intenzionati a restare.


Tra passato e presente

L’Afghanistan è un paese montuoso e desertico, in cui la neve si alterna ad un caldo torrido ogni anno. Non ha uno sbocco sul mare ma i suoi confini sono importanti: Turkmenistan, Tagikistan, Uzbekistan, Cina nell’ampio spettro settentrionale, Iran e Pakistan a est, ovest e sud. È anche da questi confini che deriva una popolazione frammentata a livello etnico, confermata dalla divisione in province e numerosi distretti: i pashtun sono il gruppo più importante a livello numerico e vivono prevalentemente a sud e nella fascia orientale del paese; a nord, tagiki e uzbeki; nel centro del paese gli hazara; i persiani a occidente intorno ad Herat, la terza città del Paese dopo la capitale Kabul e Kandahar. [1] [2]


Questa vasta frammentazione ha contribuito a determinare le tensioni nate soprattutto dopo la fine dell’invasione sovietica, iniziata nel 1979 e terminata dopo dieci anni, con Mosca sconfitta dai Mujaheddin, una larga formazione di resistenza all’invasore basata sulla fede islamica. Finanziati da Stati Uniti, Pakistan e Arabia Saudita, i Mujaheddin afghani hanno conquistato Kabul per poi, però, dividersi e iniziare a lottare tra di loro, ritagliandosi i territori d’influenza in base alla propria etnia. Tra il 1992 e il 1996 inizia così una guerra civile, che vedrà uscire vincitore il gruppo dei talebani, fondato nel 1994, di cui fanno parte una frangia di mujahed e studenti coranici con base tra il sud dell’Afghanistan e il Pakistan. Con il sostegno non troppo segreto di Islamabad, Riad e Abu Dhabi, i talebani instaurano un regime oscurantista che isola il Paese – tranne parte del nord controllato da forze che si uniranno poi nell’Alleanza del Nord - e costringe gli afghani a una vita basata su dogmi e precetti islamici simili a quelli del wahhabismo ma intrisi di tradizionalismo Pashtun.


Dal 1996 fino all’intervento unilaterale statunitense, iniziato il 7 ottobre 2001 a seguito dell’attentato dell’11 settembre e motivato dalla presenza in Afghanistan di Osama Bin Laden, mandante dell’attentato e a capo di Al Qaeda, la vita nel Paese è segnata dal silenzio imposto alle donne e all'opinione pubblica nella vita di tutti i giorni, oltre che dalle persecuzioni di etnie come quella Hazara [3], colpevole della propria diversità religiosa. L’intervento degli USA, seguito poi dall’operazione NATO ISAF (International Security Assistance Force, in italiano Forza Internazionale di Assistenza per la Sicurezza ndr) approvata dall’ONU, pone fine al regime talebano in breve tempo, costringendo gli “studenti” al ritiro verso sud, dove il supporto popolare non è mai scemato. È l’inizio di un processo che si tiene vivo per vent’anni nonostante i cambiamenti nei numeri delle truppe presenti e nella loro disposizione, reso complesso sia da un ritorno all’utilizzo del terrorismo da parte dei Taleb che dalla scarsa conoscenza degli eserciti del territorio e soprattutto della cultura e delle abitudini locali. [4]


Il tentativo occidentale, nonostante le deboli smentite di Biden nella sua ultima conferenza stampa a riguardo [5], è quello di costruire una nazione, e saldarne le istituzioni politiche e militari, dando respiro a una popolazione che nel frattempo diventa sempre più giovane. [6]

Alcuni miglioramenti ci sono stati: dalla possibilità per le donne di vivere una vita, avendo l’opportunità di studiare, lavorare ed essere parte attiva nella costruzione del nuovo Paese, fino all’allargamento della popolazione studentesca a quasi nove milioni di minori, il 39% dei quali sono studentesse.[7] Il tutto però si scontra con una realtà complessa, una società che differisce tra aree metropolitane e rurali ed una povertà che si dirama in tutto il Paese: fino alla pandemia da Covid-19 più del 54% della popolazione ha vissuto sotto la soglia di povertà; oggi si stima che più del 72% degli afghani viva in questa condizione. [8] Con un’economia basata principalmente su pastorizia e agricoltura, soprattutto quella illegale di oppio, un settore industriale in ritardo dal punto di vista dello sviluppo nonostante le potenzialità del sottosuolo – terre rare comprese [9], e una condizione perpetua di insicurezza – come dimostra il Global Terrorism Index 2020 [10], spesso la strada è quella di abbandonare il proprio Paese: l’Afghanistan è il terzo Paese per rifugiati al mondo con 2.6 milioni di persone, di cui l’86% diviso tra Pakistan, Iran e Tagikistan; il restante 12% è risalito per la rotta balcanica durante gli ultimi anni, una soluzione che è stata più volte contrastata dalle Istituzioni europee e dagli Stati Membri attraverso la costruzione di muri metallici e l’uso della forza ai confini di Croazia, Slovenia e Italia [11][12].

Fatti a cui si è aggiunta la decisione di considerare l’Afghanistan come un Paese sicuro tanto da procedere con numerosi rimpatri, soprattutto da Regno Unito, Germania e Svezia. Dal 2008 ad oggi, i Paesi europei hanno rifiutato 290.000 richieste d’asilo, rimpatriando più di 70.000 persone [13], ignorando negli ultimi anni una situazione in netto peggioramento. A chi tenta di fuggire si unisce un numero, in continua crescita negli ultimi giorni, di sfollati interni: da gennaio alla metà di agosto 2021, 550.780 hanno perso le loro case rifugiandosi specialmente nelle città, con numeri in ascesa da maggio scorso. [14]


Il maggio afghano

Maggio è il mese in cui le truppe statunitensi iniziano a ritirarsi. Lo fanno in seguito agli accordi di Doha, siglati a febbraio 2020 dall’amministrazione Trump con una rappresentanza dei talebani. [15] La firma assicura una sicura via d’uscita all’esercito statunitense, ma non sancisce un accordo tra il governo di Kabul e i Taleb mai sconfitti, che, soprattutto dopo il cambio di missione del 2014 [16] e grazie ad una maggiore attenzione del mondo su altri contesti, hanno ripreso forza. Il negoziato di Doha consente ai talebani di essere riconosciuti istituzionalmente e di dare la spinta decisiva alla riconquista di territorio, sfruttando il tempo e la possibilità di non avere nessuna reazione USA durante gli scontri con l’esercito afghano. Un esercito nato da poco tempo ma già indebolito da 69.000 perdite durante gli anni, stanco e senza nessun salario per mesi, privato del supporto aereo americano e messo subito di fronte ad un ostacolo dalle sembianze di un passato oscuro che sembra tornare a inghiottirti. [17] [18] [19]


Il governo centrale di Ashraf Ghani non ha avuto la capacità di organizzare una controffensiva e di dare sicurezza ai suoi uomini, lasciati soli negli avamposti più complessi fuori dalle città e senza una chiara guida nazionale, come testimoniano i numerosi cambi ai vertici militari del Paese. [20]

La capillarità della corruzione tra le fila dell’esercito e tra i funzionari governativi, così come la paura che ha pervaso tutti, dai capi villaggio ai soldati semplici, ha fatto il resto, permettendo ai talebani una risalita apparsa semplice all’esterno ma che è costata molteplici vite umane soprattutto nella prima fase della marcia verso Kabul.

L’ingresso nella capitale, diversamente da venticinque anni fa è avvenuto secondo una strategia ben costruita, non solo risalendo da Kandahar ma passando anche per il nord, storicamente avverso ai talebani. Un cambiamento che rende chiaro come il gruppo non sia più unicamente Pashtun e abbia sviluppato contatti e attirato nuove forze. Per questo, però, è stata necessaria una riorganizzazione che ha visto una spartizione di responsabilità e che ha causato anche qualche frizione tra le diverse parti, soprattutto tra il figlio del fondatore Mullah Omar, Mullah Mohammad Yaqoob, e il leader dell’Haqqani Network e uomo forte dell’area orientale, Sirajuddin Haqqani. I due sono responsabili delle operazioni militari e insieme al Mullah Abdul Ghani Baradar – responsabile politico e capo delegazione a Doha – risultano i vice del leader supremo Malawi Hibatullah Akhundzada, designato nel 2016. [21]

Una solidità e un’organizzazione che hanno permesso ai talebani di non aprire solo il tavolo di Doha ma di proseguire e approfondire vecchi e nuovi legami internazionali.


Russia, Cina e non solo: i taleb sul piano internazionale

La presa del potere da parte dei talebani e la fine della missione americana non sta solo portando alle gravi conseguenze che da giorni vediamo ogni ora nei giornali nazionali ed internazionali, ma sta letteralmente cambiando i rapporti di forza tra le potenze presenti nell’area.

Se da un lato tra i Paesi NATO ed UE c’è indecisione sulla condotta da seguire nei confronti del regime talebano, nel corso degli ultimi anni ci sono state alcune nazioni che hanno cercato di spodestare Stati Uniti e alleati: Cina e Russia, negli ultimi tempi, non hanno nascosto il loro supporto alla causa talebana in chiave anti-americana. Ciò che però stupisce è la strategia seguita dai due Paesi, che storicamente hanno avuto dei gravi problemi con i talebani; nonostante questo, nel corso degli ultimi anni hanno dato vita a politiche distensive nei loro confronti al punto che, già poche ore dopo l’ingresso dei talebani nella capitale afghana, sono stati organizzati incontri diplomatici con la nuova leadership.


La Russia, in questo momento, ha il suo personale diplomatico ancora all’interno dell’ambasciata di Kabul e, come annunciato dall’ambasciatore Zamir Kabulov, sono stati organizzati incontri con i talebani nei giorni successivi alla presa della capitale. [22] Già da diversi anni il Ministero degli Esteri russo, su volontà di Vladimir Putin, ha dato vita una politica distensiva nei confronti dei talebani, che a partire dagli anni 2000 sono figurati in Russia come un’organizzazione terroristica a causa del supporto dato ai separatisti ceceni nel corso della Seconda guerra cecena. Nonostante queste premesse, una collaborazione con i talebani è fondamentale per Putin nell’ambito della sicurezza dei confini. Uzbekistan e Turkmenistan, due Paesi situati tra Russia e Afghanistan, vista l’escalation di queste settimane hanno iniziato a intensificare la collaborazione con Mosca nell’ambito della sicurezza dei confini: un accordo con i talebani permetterebbe ai russi non solo di guadagnare un nuovo alleato nel medio-oriente, ma anche di tranquillizzare le nazioni con cui coopera. [23] Non è un caso quindi che l’ambasciata russa si trovi ancora nella capitale afghana nonostante il cambio di regime. Va anche ricordato che già un mese fa il Ministero degli Esteri russo ha non solo definito i talebani come un “interlocutore affidabile”, ma ha anche lanciato accuse verso il governo dell’ormai ex Primo Ministro Ghani, accusato di aver rallentato e ostacolato la presenza russa nel Paese. [24] [25]


Per quanto riguarda invece la Cina, sono tante le motivazioni che hanno spinto il Partito Comunista Cinese a intraprendere dei rapporti diplomatici con le rappresentanze talebane. In primis, la sicurezza dei confini: si pensa che al momento in Afghanistan siano presenti 5000 combattenti Uiguri, una conferma della vicinanza tra le forze talebane e i separatisti Uiguri che auspicano all’indipendenza dello Xinjiang, regione cinese dove vive l’etnia Uigura. [26] Un altro importante motivo è sicuramente quello economico: la Cina detiene la maggior parte dei diritti estrattivi dal sottosuolo afghano e l’Afghanistan, oltre ad essere ricca di giacimenti petroliferi, è ricca di giacimenti di minerali preziosi e rari che rappresenterebbero per Pechino un’opportunità economica dal valore di 3 trilioni. [27]

Non tutte le potenze guardano con fiducia agli sviluppi di questi giorni: la Turchia, ad esempio, ha in questo momento 500 soldati dentro l’aeroporto di Kabul. Soldati che non hanno partecipato ad azioni militari, ma si sono limitati a fornire addestramento alle truppe governative. La presenza Turca in Afghanistan rientra nella strategia portata avanti dal presidente Erdogan, ovvero migliorare la presenza turca nel mondo islamico. Non è un caso che la Turchia sia il Paese NATO con i migliori rapporti con i talebani e che in questo momento le forze militari turche siano impegnate in prima linea nel mantenimento dell’ordine all’interno dello aeroporto della capitale. Questo obiettivo rischia di essere messo in discussione dal diktat dei talebani imposto al governo turco: entro settembre 2021 le truppe turche dovranno lasciare la capitale. [28] Lasciare l’Afghanistan potrebbe significare un brusco rallentamento per i piani turchi: Ankara perderebbe una posizione di prestigio da usare all’interno della NATO e non si ha la certezza che una volta fuori dal Paese il nuovo regime voglia intraprendere rapporti con la Turchia.


Un quadro in continuo cambiamento

Dopo l’entrata dei talebani a Kabul le giornate sono state scandite dalla confusione e dalla diffidenza di chi rimane, dalla voglia di fuggire di tanti. Uomini e donne hanno lottato tra di loro per entrare nell’aeroporto internazionale della capitale, immaginando un piccolo spazio negli aerei che decollano da giorni per portare a casa i funzionari delle varie ambasciate occidentali e non solo. [29]

Dall’altra parte i taleb riaccolgono in patria uomini fondamentali come Baradar e tentano di convincere gli afghani e gli osservatori internazionali di essere diversi. Si dicono più esperti, dichiarano la guerra è finita, promettono di non collaborare con gruppi terroristici fondamentalisti, di cercare un’alternativa economica all’oppio [30], promulgano un’amnistia generale per chi ha lavorato nel governo [31] e affermano che non ci saranno vittime tra chi ha collaborato con gli stranieri. [32] Usano internet e i mezzi televisivi per mostrarsi a tutti gli interlocutori. Le donne potranno lavorare nei limiti della Sharia: difficile descriverne i contorni, con la libera interpretazione del Corano che i talebani hanno sempre dato. I fatti sul campo e i messaggi inviati da tanti cittadini afghani descrivono una realtà diversa, fatta di intromissioni nelle case, liste con nomi da spuntare una volta eliminati, le strade verso l’aeroporto chiuse da checkpoint che rimandano indietro con la forza chi tenta di raggiungere lo scalo. Nel mentre però c’è chi si oppone: le prime manifestazioni delle donne di Kabul hanno fatto il giro del mondo [33], a Jalalabad – dove ufficialmente cinque persone hanno perso la vita [34] – e in altre città ci sono stati cortei di protesta dopo che la bandiera afghana era stata ammainata in favore di quella talebana. E tra gli uomini politici qualcosa si muove, anche se con differenze: l’ex presidente Karzai [35] e l’ex ministro degli Esteri Abdullah Abdullah, rimasti in patria, hanno cominciato a dialogare con una rappresentanza talebana per una transizione pacifica. Una negoziazione a cui si è dichiarato favorevole il presidente Ghani, che ha parlato dagli Emirati Arabi Uniti dove ha trovato rifugio dicendosi però intenzionato a rientrare [36] [37]; invece, nel Panjshir, una delle piccole regioni rimaste fuori dal dominio taleb, si organizza la resistenza. Ahmad Massoud, figlio dello storico combattente tagiko Ahmad Sha Massoud, e Ahmrullah Saleh, che in quanto ex vice-presidente del governo Ghani si è dichiarato presidente ad interim [38], dicono di essere pronti per la lotta armata e cercano sostegno. [39] Un contesto che sembra trasformarsi in un nuovo rebus da risolvere, sia per gli afghani che per gli attori internazionali.


Quello dell’Afghanistan sarà un quadro in continuo mutamento. Saranno necessari i prossimi giorni e mesi per comprendere una situazione che si evolverà a livello nazionale e internazionale, perché tutti rientrano in un grande gioco, su diversi livelli e con diverse attenzioni. Sarà meno difficile comprenderlo se stavolta non spegneremo la luce come fatto negli anni precedenti, nonostante le probabili difficoltà che i giornalisti, afghani e internazionali, incontreranno nel raccontare un Paese che sembra andare verso un silenzio imposto dall’alto.

Tuttavia, questo tema non può diventare un mero trend o, sul piano interno, una scusa per portare avanti politiche razziste e islamofobe, ma dovrà essere affrontato con l’aiuto di esperti che conoscono l’Afghanistan, la sua cultura e la sua storia. L’opinione pubblica internazionale ha avuto la colpa di porre poca attenzione su quello che accadeva nel corso di questi vent’anni, nonostante le vittime civili o i documenti di WikiLeaks e l’inchiesta di The Intercept sull’utilizzo dei droni durante l’amministrazione Obama. [40]


Alla fine di questi vent’anni sarà importante diventare scolari di una storia che fino ad ora abbiamo poco ascoltato, mentre il tempo ha continuato a scorrere inesorabile sulle vite e sui volti degli afghani.


Fonti: [1] Wikipedia, Afghanistan, https://it.wikipedia.org/wiki/Afghanistan [2] Mohammed HaddadandAlia Chughtai, 10 maps to understand Afghanistan, Aljazeera, 12 agosto 2021,

https://minorityrights.org/minorities/hazaras/ [4] Frud Bezhan, The Deadly Consequences Of Cultural Insensitivity In Afghanistan, RadioFreeEurope RadioLiberty, 13 settembre 2012, https://www.rferl.org/a/afghanistan-deadly-consequences-of-cultural-insensitiviy/24707511.html [5] Reality Check team, Biden on Afghanistan fact-checked, BBC News, 18 agosto 2021, https://www.bbc.com/news/58243158 [6] WordlData.info, The average age in global comparison,

https://www.worlddata.info/average-age.php [7] The Visual Journalism Team, In numbers: How has life changed in Afghanistan in 20 years, BBC News, 17 agosto 2021, https://www.bbc.com/news/world-asia-57767067 [8] https://it.wikipedia.org/wiki/Afghanistan [9] https://qz.com/2047785/under-the-taliban-what-will-happen-to-afghanistans-minerals/#:~:text=Minerals%20are%20a%20double%2Dedged,which%20Afghanistan%20is%20naturally%20rich [10] https://www.instagram.com/p/CSo0q87tLq9/?utm_medium=copy_link [11] https://www.avvenire.it/attualita/pagine/lorrore-alle-porte-delleuropa [12] https://www.avvenire.it/attualita/pagine/torture-su-migranti-al-confine-tra-croazia-e-bosnia-vide-scavo [13] Matteo Villa, Twitter, 15 agosto 2021, https://twitter.com/emmevilla/status/1426924703105564679; 16 agosto 2021. https://twitter.com/emmevilla/status/1427159238892216322 [14] https://data2.unhcr.org/en/country/afg [15] https://2017-2021.state.gov/wp-content/uploads/2020/02/Signed-Agreement-02292020.pdf [16] https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Sostegno_Risoluto [17] https://www.theatlantic.com/ideas/archive/2021/08/us-afghanistan-taliban-training/619774/?s=09&utm_source=pocket-app&utm_medium=share [18] https://www.lettera22.it/talebani-ventanni-dopo-un-movimento-con-piu-anime/ [19] https://www.wsj.com/articles/afghanistan-army-collapse-taliban-11628958253 [20] https://www.aljazeera.com/opinions/2021/8/17/why-did-the-afghan-army-disintegrate-so-quickly [21] https://gandhara.rferl.org/a/taliban-leadership-structure-afghan/31397337.html [22] Redazione ANSA, “Mosca, domani il nostro ambasciatore a Kabul vede i talebani”, ANSA, 16 agosto 2021,

https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2021/08/16/mosca-domani-il-nostro-ambasciatore-a-kabul-vede-i-talebani_5a7b807e-df5e-4e0a-b988-23b604977150.html [23] I.U. Klyszsz, Reframing Russia’s Afghanistan Policy, Foreign Policy Research Institute, 29 luglio 2021,

https://www.fpri.org/article/2021/07/reframing-russias-afghanistan-policy/ [24] I. Arkhipov & H. Meyer, Russia Hails Taliban as “Resonable People”, Blasts Government, Bloomberg, 23 luglio 2021,

https://www.bloomberg.com/news/articles/2021-07-23/russia-hails-taliban-as-reasonable-people-blasts-government [25] P. Felgenhauer, Amidst Taliban Gains, Russia Strategical Assets Threatened in Central Asia, The Jamestown Foundation, 15 luglio 2021, https://jamestown.org/program/amidst-taliban-gains-russian-strategic-assets-threatened-in-central-asia/ [26] P. Haski, Anche la Cina deve fare i conti con la crisi in Afghanistan, Internazionale, 26 luglio 2021, https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2021/07/26/cina-afghanistan [27] C. Bertolotti, Afghanistan, i quattro motivi per cui la Cina dialoga con i talebani, ISPI, 30 luglio 2021,

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/afghanistan-i-quattro-motivi-cui-la-cina-dialoga-con-i-talebani-31302 [28] A. Basit & Z. S. Ahmed, Why Turkey Wants to be in Charge of securing Kabul Airport, Al Jazeera News, 2 agosto 2021,

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