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Xenofobia inclusiva: cos’è l’omonazionalismo?

  • Immagine del redattore: Giulio Ardenghi
    Giulio Ardenghi
  • 8 nov 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

In un recentissimo articolo, uscito nel giugno del 2020, il sociologo canadese David Murray descrive la situazione relativa all’accoglienza nello Stato nordamericano di migranti il cui orientamento sessuale è causa di discriminazioni nei loro Paesi di origine. Murray afferma: "come leggevo questi articoli e guardavo documentari su questo argomento, mi sono reso conto di un arco narrativo comune: i Paesi di origine dei rifugiati SOGIE [1] venivano regolarmente descritti come profondamente omofobi, perciò i rifugiati non avevano altra scelta se non quella di scappare e cercare rifugio in Canada, a cui ora erano grati per aver trovato libertà e protezione". [2]


Scuole di pensiero e opinioni diffuse che vedono i Paesi occidentali come i custodi di ideali di libertà e tolleranza verso le persone LGBT non riguardano certamente il solo discorso pubblico canadese. Non è difficile imbattersi in discorsi di questo tipo se si analizzano le comunicazioni politiche e le opinioni diffuse anche negli altri Paesi dell’America settentrionale o dell’Europa occidentale. Questo senso di superiorità, dato quasi per scontato tra gli occidentali, corrisponde al fenomeno che l’autrice e studiosa di genere Jasbir K. Puar chiama omonazionalismo. Questo fenomeno indica l’inclusione delle persone LGBT nell’idea di nazione, ma solo per strumentalizzare la loro retorica e i loro problemi in chiave xenofoba e/o, appunto, nazionalista.


È interessante notare come l’omonazionalismo sia un punto che sia le forze politiche di destra sia quelle di sinistra che dominano il discorso politico nel mondo occidentale sembrano avere in comune. Le destre vedono nelle problematiche e nelle discriminazioni subite dalle persone LGBT nei Paesi non occidentali come un’opportunità per affermare che gli immigrati che provengono da quelle zone sono omofobi e, pertanto, incapaci di adattarsi a una società liberale e pericolosi per le persone LGBT che ci vivono. Le sinistre ne approfittano invece per additare le società del Sud e dell’Est del mondo come società retrograde e selvagge, e che anche l’Occidente potrebbe tornare a essere come loro se venisse a perdersi l’ideologia a base di individualismo e progressismo sociale di cui esse si fanno promotori.


In questo senso, la comunicazione di massa non è diversa dalla propaganda politica. Ad esempio, è facile trovare su internet degli articoli, dei post o delle immagini che ritraggono soldati statunitensi che esprimono supporto per le tematiche LGBT o si mostrano mentre compiono effusioni chiaramente omosessuali. Il significato è duplice: se, da un lato, le forze armate americane vengono ritratte come un ambiente in cui tutte le differenze, comprese quelle di genere o di orientamento sessuale, vengono rispettate e valorizzate, dall’altro si fa passare il messaggio che l’esercito americano sia il difensore ufficiale di tutte le persone LGBT del mondo. D’altronde uno è libero di amare chi vuole o di riconoscersi nel genere in cui si trova più a suo agio in America o nel mondo occidentale, ma sarebbe altrettanto libero in Afghanistan o in Iraq? Dopotutto, esportando la democrazia a suon di bombe non si può che esportare anche i diritti civili.


Eppure le cose non sono così semplici. Omofobia e discriminazioni contro le persone LGBT esistono, e non sono così marginali, anche nei Paesi occidentali. È anche interessante notare come coloro che si scagliano contro l’intolleranza dei Paesi non occidentali siano raramente degli esperti della storia e della cultura di quegli stessi Paesi.

Ma, a parte tutto, se ci si batte per smettere di essenzializzare il genere e l’orientamento sessuale delle persone, è abbastanza assurdo farlo con la figura del migrante. Squalificare intere culture senza tenere conto di tutti i fattori storici, economici e sociali da cui esse nascono non protegge nessuno e, al contrario, non porta che a un’ulteriore forma di discriminazione.


Fonti:

[1] L’acronimo SOGIE indica quei migranti che richiedono asilo sulla base del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere (sexual orientation or gender identity expression)

[2] Murray David, Liberation nation? Queer refugees, homonationalism and the Canadian necropolitical State, pubblicato nella rivista REMHU (Revista interdisciplinar de mobilidades humanas), maggio-agosto 2020, p. 70

Fonte foto copertina: Insider.com

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