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Una ziqqurat in Sard… ah no

  • Francesco Serra
  • 8 apr 2022
  • Tempo di lettura: 5 min

Chiunque si sia interessato anche in via del tutto amatoriale alla storia e al paesaggio della Sardegna, almeno una volta nella propria vita avrà sentito nominare o letto qualcosa sul sito archeologico di Monte d’Accoddi in provincia di Sassari. Un sito definito in modo accattivante da numerosi articoli di giornale e testi, pure istituzionali o comunque di un certo calibro, come ziqqurat sarda” per due principali motivi: la sua imponente rampa d’accesso conducente a una piattaforma quadrangolare sopraelevata, che ricorderebbe, apparentemente, gli antichi edifici mesopotamici, e la funzione cultuale di connessione fra cielo e terra. la stessa che avevano i templi orientali, cosa che stando a diverse letture sembrerebbe data per scontata. [1]


Cerchiamo di fare subito le opportune precisazioni, non per essere pignoli, bensì per contrastare le informazioni fuorvianti, se non proprio false, che inevitabilmente vanno a toccare prevalentemente un pubblico di lettori inesperti del settore scientifico e culturale. Innanzitutto, l’altare di Monte d’Accoddi, indagato a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, è un santuario edificato verso i secoli centrali del IV millennio a.C. con due principali fasi di frequentazione, scandite dall’edificazione del cosiddetto “tempio rosso” distrutto da un incendio, dopo cui venne costruito un altro tempio su un ulteriore basamento. [2] Ciò che si vede ora è in realtà il prodotto di una ricostruzione ipotetica successiva agli scavi (tra l’altro non condivisa da tutti gli studiosi) che sintetizza appunto le due fasi di frequentazione del santuario [3]. Pertanto, già considerando tale aspetto, il termine “ziqqurat” impiegato per questo monumento andrebbe a perdere di senso.


Per ziqqurat, si badi bene, si intende una torre templare che, con le apposite varianti regionali, si sviluppa su in sistema di terrazzamenti e rampe, edificate fra l’area mesopotamica e l’altopiano iranico a partire dalla seconda metà del III millennio a.C. (sulla base dei più antichi esemplari effettivi) fino addirittura all’età persiana. Il tempio era destinato allo svolgimento di rituali sacri rivolti a divinità siderali, con lo scopo di connettere idealmente la terra al cielo. In questo senso risulta emblematico il caso della Torre di Babele menzionata nella Bibbia, che di fatto era proprio una ziqqurat, oggi identificata archeologicamente con l’Etemenanki di Babilonia. [4]


Dunque, ammettendo pure che le ziqqurat mesopotamiche e l’altare di Monte d’Accoddi abbiano qualche elemento similare fra loro, i due tipi di costruzione non hanno pressoché nessun grado di relazione, sia per quanto concerne l’ubicazione, prima di tutto, sia per le sembianze, sia per gli specifici rituali praticati.

Figura 1: ricostruzione ipotetica dell’Etemenanki di Babilonia (Fonte: wikipedia.org).


Purtroppo il caso di Monte d’Accoddi non è l’unico a mostrarci l’utilizzo di termini impropri in ambito divulgativo e soprattutto giornalistico. Anzi, di esempi simili ne potremmo menzionare a cifre esorbitanti addirittura sul piano internazionale. Basti pensare giusto a quante “Pompei” spuntino fuori nel mondo ogniqualvolta riemergano da qualche scavo archeologico anche solo i primi accenni di strutture abitative. Certo, è superfluo precisare che questo sia un modo per attirare l’attenzione del grande pubblico sulla notizia e sull’oggetto stesso della notizia. Ciò da un lato fa pure sorridere gli archeologi, tuttavia sarebbe bene domandarsi quanto possa effettivamente giovare alla comunicazione dei beni culturali e alla divulgazione scientifica.


Rimaniamo sull’esempio delle fantomatiche Pompei, di cui sembrerebbe ce ne siano almeno tre o quattro per continente stando agli articoli di giornale. [5] Un lettore, imbattendosi in un accattivante titolo giornalistico che con eccesso di zelo strepita alla scoperta di una nuova Pompei, si aspetterebbe un qualcosa di straordinario al pari della Pompei canonica e dunque un contesto dove quasi tutto è riuscito a conservarsi interamente per millenni, fattore determinante per contribuire a svelare “i misteri di antiche civiltà perdute” (altra espressione che fa impazzire i mass media); ma l’entusiasmo si ridimensiona non appena legge con attenzione lo stesso articolo col titolo di facciata, una pubblicazione scientifica al riguardo o nel momento in cui va in prima persona a visitare il sito decantato come novella Pompei. Di conseguenza, difficilmente quel lettore darà credito in futuro alle notizie sulle nuove scoperte archeologiche e sarà meno propenso a visitare altri siti archeologici per evitare delusioni dall’offerta culturale.

Questo modo accattivante di trasmettere il patrimonio culturale, che a primo impatto può sembrare innocuo, in realtà tende a nuocere il delicato rapporto di comunicazione fra scienza e pubblico, perché da un lato suscita fraintendimenti sulla natura di un bene culturale, dall’altro crea sfiducia da parte del grande pubblico verso giornalisti e professionisti della divulgazione. Il problema poi si ingrandisce nel momento in cui sono gli stessi archeologi e divulgatori scientifici, o persino figure istituzionali, a cadere nella tentazione di impiegare una terminologia scorretta e fuorviante per attirare l’attenzione o per captatio benevolentiae, rivolgendosi a un preciso pubblico. [6] È il caso soprattutto di alcuni personaggi di spicco, magari ricoprenti ruoli attivi in ambito sociopolitico, che tendono a sfruttare il sensazionalismo delle scoperte archeologiche per fare leva sul consenso delle persone. D’altro canto, il raccontare un passato mitico e glorioso di un popolo ne ha sempre stimolato il fervore ideologico e culturale, facendo conseguire simpatie e gradimenti verso chi propone, o propina, tale tipo di racconto della storia, a prescindere dalla sua attendibilità scientifica.

A questo punto appaiono interessanti, come spunto di riflessione finale, le parole dell’archeologo Alfonso Stiglitz proprio in merito al sensazionalismo archeologico: «Ci troviamo di fronte a notizie false o falsificate o adattate al nostro gusto, distribuite come se ci trovassimo di fronte al più classico dei Fast Food». [7]

La tutela e la giusta valorizzazione di un bene culturale non possono che partire da un’onesta e ponderata interazione col grande pubblico.


Fonti: [1] Stefania Lapenna, Lo sapevate? In Sardegna esiste una ziqqurat come in Mesopotamia: è l’unica nel Mediterraneo, Vistanet.it, 18 gennaio 2018, https://www.vistanet.it/cagliari/2018/01/18/ Tempio-altare di monte d'Accoddi, Sardegna Turismo,

https://www.sardegnaturismo.it/it/esplora/tempio-altare-di-monte-daccoddi [2] M. G. Melis, L’Eneolitico antico, medio ed evoluto in Sardegna: dalla fine dell’Ozieri all’Abealzu, in Atti della XLIV riunione scientifica, La Preistoria e la Protostoria della Sardegna, Cagliari, Barumini, Sassari 23-28 novembre 2009, Vol. I, Firenze, 2009, pp. 91-93. [3] A. Moravetti, Gli altari a terrazza di Monte d’Accoddi. Il complesso di età prenuragica ospitava un santuario e un villaggio che non trova riscontri in Europa e nell’intera area del Mediterraneo, in Darwin Quaderni: Archeologia in Sardegna, Editoriale Darwin S.r.l., 2006, pp. 6-19. [4] A. Bisi, ZIQQURAT, in Enciclopedia dell’Arte Antica, Treccani, 1966. [5] Francesco Palmieri, 'Pompei dell'Asia', 60 anni di archeologia italiana in Pakistan, AGI, 6 gennaio 2016, https://www.agi.it/estero/

Redazione, Iran. La Pompei d'Oriente congelata nel deserto svelata da studiosi italiani. "Un pacifico melting pot di 5mila anni fa", la Repubblica, 23 febbraio 2021, https://www.repubblica.it/viaggi/2021/02/23/news/

Redazione, Jerash, la Pompei dell'Asia, La matrioska latina, 1 gennaio 2018, http://latrotamundo92.blogspot.com/2018/01/jerash-la-pompei-dellasia.html

Redazione, Emerge dalla cenere una Pompei dell'Asia, newton, 6 marzo 2006, http://newton.corriere.it/PrimoPiano/News/2006/

Ferruccio Bellicini, Timgad, la Pompei d’Africa, unjmondo, 7 novembre 2020, https://www.unimondo.org/Notizie/Timgad-la-Pompei-d-Africa-202045

Andrea Cionci, Adulis, missione archeologica italiana per portare alla luce i misteri della “Pompei africana”, La Stampa, 27 febbraio 2018, https://www.lastampa.it/viaggi/mondo/2018/02/27/news/

Gaglione Danilo, Joya de Cerén: la Pompei dell’El Salvador nascosta 1000 anni sotto la lava, Jeda News, 24 luglio 2018, https://www.jedanews.com/joya-de-ceren-pompei/ [6] Redazione, Sono un professionista dei beni culturali, Sensazionalismo in archeologia: dobbiamo dire “basta”, Mi riconosci?, 20 febbraio 2020, https://www.miriconosci.it/sensazionalismo-archeologia-dire-basta/ [7] A. Stiglitz, Fenomenologia della Mac’Archeology [4], Il manifesto sardo, 16 marzo 2022, https://www.manifestosardo.org/


Foto copertina: veduta dall’alto del santuario preistorico di Monte d’Accoddi-Sassari (Fonte: P. Melis, La Sardegna Preistorica, 2017, p. 154)

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