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(T)rapsodìa: la musica “di oggi” vista dalla prospettiva degli antichi

  • Francesco Serra
  • 26 dic 2020
  • Tempo di lettura: 5 min

Definita dagli antichi greci come l’arte delle Muse, da cui prende appunto il nome, e dagli uomini medievali come arte liberale, la musica è senza dubbio uno degli aspetti culturali che meglio caratterizzano l’essere umano. Essa ha infatti definito le idee, la lingua e i modi di pensare delle società nel tempo e nello spazio, e lo fa tutt’ora in maniera sempre più eterogenea, perciò possiamo dire che la musica si sia evoluta assieme all’umanità stessa, secondo un processo che ha avuto riflesso nella variazione degli stili di canto e nell’utilizzo di determinati strumenti musicali.

Se ci pensiamo, proprio questa evoluzione della musica sembra essere uno dei maggiori temi caldi che si tirano in ballo ogniqualvolta si parli di differenze generazionali. Molto spesso infatti avremo sentito persone che hanno vissuto la loro giovinezza nella seconda metà del ‘900 (quindi intendendo grosso modo boomers e millennials) affermare che la musica dei loro tempi fosse di gran lunga superiore a quella attuale, ritenuta più banale e omologata, sia per capacità tecniche sia per tematiche trattate nei testi, mentre di contro avremo sentito giovani d’oggi sostenere che la musica contemporanea sia completamente diversa rispetto a quella dei decenni “d’oro” pertanto gli stili e i messaggi da trasmettere cambiano. Che ci piaccia o no, sicuramente almeno una volta nella vita ognuno di noi si sarà ritrovato a ricoprire una delle due “fazioni” appena riportate, cercando, in fin dei conti, di far valere semplicemente la massima latina de gustibus non disputandum est. Ma al di là dei gusti musicali e delle capacità artistiche maggiori o inferiori a seconda del cantante preso in esame, possiamo realmente dire che la musica del presente e quella del “passato” viaggino su binari differenti?

Prendiamo ad esempio uno dei generi attualmente in voga tra le fasce d’età più giovani, ossia la trap music, sottogenere del rap e/o dell’hip hop comparso già alla fine degli anni ’90 ma che ha cominciato a prendere piede nei primi anni del 2000. È sicuramente un genere controverso, molto discusso, nel bene e nel male, per la sua musicalità, per l’utilizzo di strumenti atti alla manipolazione del suono e per le tematiche ricorrenti che generalmente oscillano fra droga, sesso, divertimento sfrenato, criminalità e situazioni sociali difficili, il tutto trasmesso attraverso un linguaggio esplicito e un modo di porsi del cantante spesso e volentieri provocatorio e stravagante. Quindi, rispetto alla “tradizionale” musica commerciale (lato sensu), a primo impatto sembrerebbe un qualcosa di totalmente alieno che solo i tempi che corrono potrebbero produrre. Eppure, non sarebbe così assurdo trovare dei punti di contatto fra i generi contemporanei, non solo la trap ma anche il rap, il pop o l’hip hop, e la musica di un passato anche remoto.


Nell’antica Grecia e nell’antica Roma, due epoche che forse andremmo a considerare per ultime in tal senso, la musica era senza dubbio legata alla sfera rituale e del sacro, e attraverso il canto aedi e rapsodi narravano le gesta degli eroi omerici e dei personaggi tragici, perciò è facile immaginarsi con quale solennità si suonasse e si cantasse. Nonostante questo, la musica non era, ovviamente, esclusiva dell’ambito religioso, il quale a sua volta era concepito fra gli antichi in maniera ben diversa rispetto a quanto possiamo intendere la religiosità noi moderni. Nei baccanali infatti, rituali propiziatori di matrice magnogreca che si diffusero rapidamente nei territori romani durante l’età repubblicana, si cantava, suonava e danzava in onore di Dioniso/Bacco, dio del vino, della frenesia e dell’estasi, sebbene fossero festività mal viste già in epoca antica poiché sfociavano spesso in attività immorali come riti orgiastici e soprattutto rischiavano di sfuggire al controllo delle autorità civili, tanto che nel 186 a.C. il Senato Romano decise di prendere drastici provvedimenti vietando la professione di questi rituali e indicendo persecuzioni contro chiunque vi partecipasse[1].

Se ci facciamo caso, tali rituali, che si svolgevano fra gli eccessi del sesso e dell’alcol (il vino antico era molto più forte del nostro), l’impiego di una musica ipnotica e il desiderio di fuggire momentaneamente dalle imposizioni sociali, in qualche modo ricordano anche le eccedenze che si verificano nelle nostre discoteche, ambienti in cui la musica giovanile raggiunge l’apice della sua esibizione.

A ricordare pure i modi di fare eccentrici e variegati di molti cantanti odierni vi è poi la figura di alcuni poeti-cantori antichi come il sardo Tigellio, vissuto tra la Sardegna e Roma nel I secolo a.C. (da cui prende impropriamente il nome l’insieme dei resti di domus romane rinvenute a Cagliari presso via Tigellio, appunto). Amico strettissimo di Cesare e apprezzato persino dal futuro imperatore Ottaviano Augusto, Tigellio viene descritto dalle fonti, in particolare dal celebre Orazio[2], come un personaggio stravagante che si metteva a cantare lo stesso malgrado nessuno glielo avesse richiesto, mentre talvolta si rifiutava di farlo a seconda di chi lo chiedesse, ma la sua abilità nel comporre, cantare e suonare versi in onore di Bacco era tale da incantare addirittura Cleopatra durante il suo soggiorno a Roma[3].

Di contro non gli mancò di ricevere aspre critiche da parte di aristocratici conservatori quali Cicerone proprio per il suo modo di fare e per la sua stessa professione che attirava l’ammirazione delle classi sociali più basse e poco raccomandabili (va precisato che fra il popolo sardo dell’epoca e il famoso oratore c’era un astio reciproco causato da motivi più complessi su cui non è il caso di soffermarci in questa sede). Nonostante ciò, senza dubbio il cantante Tigellio, per quanto fosse bizzarro, fu stimato da un’ampia fascia di pubblico eterogeneo che andava dal ceto elitario a quello più umile, perciò potremmo definirlo un cantante “pop” a tutti gli effetti, sia per quanto riguarda la musica che produceva sia per il modo di proporre la sua figura professionale, cosa che nel bene e nel male lo rendeva sempre oggetto di discussione.

Dunque, considerando la nostra epoca, sicuramente ci sono artisti più talentuosi, artisti meno capaci, quelli che cantano tematiche più nobili e quelli che cantano tematiche meno raffinate, e ammettiamo pure che questi ultimi riescano a farsi sentire di più rispetto ai decenni passati, ma non bisogna vederla necessariamente come un decadimento della musica o più in generale dei tempi e dei costumi, poiché, come abbiamo avuto modo di vedere, già nel mondo antico, per poi continuare nel Medioevo, nel Rinascimento ecc., si potevano tranquillamente trovare personaggi che facevano musica incentrata su argomenti frivoli o scomodi a giudizio di buona parte dell’opinione pubblica, riuscendo però ad attirare comunque ampie folle di ascoltatori, che si trattasse di stare in una piazza, in un concerto, in un baccanale o in una discoteca. Semplicemente, cambiano i tempi e le dinamiche sociali, ma gli esseri umani rimangono pur sempre tali.


[1]G. Geraci, A. Marcone, Storia Romana, con la collaborazione di A. Cristofori e C. Salvaterra, IV ed., Le Monnier Università, 2016, pp. 106-109. [2]SatireI, 3, 1-6. [3]A. Mastino, Storia della Sardegna antica, in La Sardegna e la sua storia, vol. II, Edizioni Il Maestrale, 2005, pp. 114-116.

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