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Se non voto è un problema?

  • Immagine del redattore: Alessandro Manno
    Alessandro Manno
  • 20 giu 2022
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 22 giu 2022


Quando si vota, che siano le elezioni comunali in uno sperduto paesino di montagna di 200 abitanti o le elezioni politiche per decidere i rappresentanti in Parlamento, ci sono sempre due cose certe: tutti hanno vinto e il preoccupante fenomeno dell’astensione. Questi due esiti che si presentano ad ogni tornata elettorale puntuali come un treno svizzero hanno però un legame abbastanza stretto, non tanto perché l’uno sia causa dell’altro ma perché con il tempo hanno cominciato ad andare a braccetto nelle analisi post voto.


Per un politico o un partito uscito perdente dal voto, quindi che banalmente “Ha preso meno voti rispetto a X”, diventa fondamentale, nel caso in cui non si voglia ammettere la sconfitta, presentare agli elettori e alla stampa delle letture differenti di ciò che è accaduto costruendo delle cornici di senso differenti da quelle presenti tra la maggioranza degli ascoltatori.


Un caso eclatante è stato quello delle Elezioni suppletive per la Camera dei deputati nel collegio di Roma 1 dello scorso dicembre, in cui il candidato di Italia Viva Valerio Casini ha ottenuto il 12,93%. Al termine della consultazione, che lo ha visto terminare al terzo posto, è partita la costruzione alternativa post voto da parte dei rappresentanti di Italia Viva che presentavano il voto come un successo che smentiva il dato nazionale che li dava intorno al 2%. Tutto questo non tenendo conto che l’affluenza fosse stata bassissima (11,3%) e che il numero effettivo di voti ottenuti da Casini fosse di appena 2.698. [1]

Un tentativo anche abbastanza goffo per cercare di non ammettere la sconfitta e che è però frutto di una fotografia della realtà che risulta falsata anche a causa dell’astensione. Chi non vota non dà una voce a quello che pensa e dunque chiunque può scegliere di dare un significato diverso al non voto generando costruzioni perlomeno fantasiose.


Non andare a votare genera un fenomeno che porta i perdenti a proporre letture alternative della realtà e i vincitori a non avere la corretta percezione di quali sono i reali bisogni del Paese. È pur vero che chi non vota non ha diritto di lamentarsi per ciò che viene scelto da altri, ma resta comunque il problema del crescente distacco della popolazione dalla vita politica del Paese perché dare la colpa soltanto alla classe dirigente sarebbe una risposta estremamente banale.

Partiamo da un assunto. L’astensione nel nostro Paese è attualmente un problema? No, non lo è. Almeno per ciò che riguarda le elezioni politiche. E può sembrare strano visto che, come abbiamo detto, è uno dei temi maggiormente trattati nel post elezioni. Perché non è un problema? Partiamo dal presupposto che il nostro Paese è sempre stato uno degli attori europei con il maggior numero di persone che si recavano alle urne, con punte del 93,89% in occasione delle elezioni politiche del 1976. [2]


Nell’ultima consultazione elettorale, nel 2018, l’affluenza è stata del 72,91%. Questo perché le persone vanno a votare quando viene ritenuto il voto determinante per cambiare le loro vite. E il dato che può sembrare interessante è che vengono reputate scarsamente impattanti le elezioni regionali o comunali (come nel caso di poco più di una settimana fa). Per darvi un dato che riguarda casa nostra: alle ultime elezioni regionali in Sardegna del 2019 l’affluenza è stata del 53,7% mentre alle ultime comunali, prendendo in esempio i centri più grandi, a Selargius l’affluenza è stata del 47,20%, a Oristano del 54,9%. [2]


Questo può sembrare un paradosso visto che il voto al Comune è quanto di più impattante ci possa essere nella vita delle persone come risposta a dei problemi concreti. Ma probabilmente paradosso non è se si pensa che sempre di più i partiti si sono disinteressati a curare gli interessi dei territori, i parlamentari a interessarsi dei problemi del proprio collegio e sono stati smobilitati i luoghi in cui i cittadini potevano raccontare alla politica i propri problemi.

Inoltre, dobbiamo tenere conto di tanti fattori che causano l’astensione e che non possono essere liquidati con un’assegnazione semplicistica di colpe verso coloro che non si interessano della cosa pubblica.


Ovviamente spiegare il fenomeno dell’astensione è complicatissimo, ma ciò che voglio fare è provare a farvi riflettere su degli aspetti che secondo me causano l’astensione, o per lo meno quelli a cui si può provare a dare una soluzione. Per chi non è realmente appassionato, la politica è una cosa noiosa. Ascoltare ore e ore di retroscena, capire che per ottenere dei risultati concreti bisogna spingere per il compromesso, scendere a patti con la controparte, aspettare i tempi tecnici della politica o osservarne la normalissima lentezza è qualcosa di estremamente stancante dal punto di vista cognitivo. In un mondo che va a velocità strabilianti i cittadini chiedono anche alla politica di reagire agli stimoli in tempi rapidi e non vendendo una reazione immediata aumenta lo scontento e si inizia a pensare che forse votare e scegliere i rappresentati non serve a nulla se poi tutto rimane uguale a prima.


A questo si aggiunge la scarsissima educazione politica esistente da anni nella società italiana che non vede più la partecipazione alla vita politica come qualcosa di giusto, ma come un’enorme perdita di tempo. Al punto che anche partecipare a una consultazione elettorale ogni tanto risulta tremendamente pesante. Ma perché c’è così poca educazione? Le risposte potrebbero essere due: i partiti hanno ritratto parzialmente, se non del tutto, le proprie ramificazioni territoriali che si occupavano di cogliere e sopperire alle necessità dei territori, ma anche di fare cultura politica nei luoghi lontani dal centro. Infine, quanti di voi o quanti che voi conoscete hanno fatto educazione civica, come previsto, a scuola? Se i due problemi posti sono uno interno alla politica di per sé e ai suoi mutamenti, l’altro più sistemico riguardante la società e i partiti, nel terzo caso si va ad affrontare il tema delle regole del gioco.


La mobilità sta diventando sempre di più una prerogativa della nostra società con numerosi cittadini che si spostano in maniera più o meno frequente da un comune all’altro o da regione in regione, mantenendo la residenza nella città in cui si è nati o dove si è vissuti per più tempo. Questo comporta, per via di come funziona il voto, di poter esprimere la propria preferenza recandosi esclusivamente fisicamente nel luogo di residenza. Parlo di studenti fuorisede, di professionisti che non possono allontanarsi per lavoro, di persone che non possono permettersi un lungo viaggio in treno o in aereo, di anziani che non riescono per via dell’età a recarsi alle urne. Una società con caratteristiche differenti richiederebbe regole differenti: l’introduzione del voto per posta come la circoscrizione estero, il voto in anticipo o il voto telematico potrebbero essere delle soluzioni o dei tentativi che si potrebbero fare per cercare di evitare un astensionismo per “cause di forza maggiore”.


Come detto, parlare di questo fenomeno complesso. È un tema delicato, che deve portare tutti a riflettere sul corretto funzionamento della nostra democrazia da cui dipende in fin dei conti il nostro vivere in una comunità che si autoregola.


Riassumendo:

  • L’astensione al momento può causare un collasso del nostro sistema democratico? No.

  • La colpa è solo dei partiti? No.

  • C’è qualcuno che propone delle idee migliori? Chapeau.

  • C’è chi del voto non gliene importa nulla? Chapeau.

  • Penso che il tutto si risolverà in un paio di anni? No.

Parere mio. Sbaglierò? Amen. Però è qualità, raffinatezza della democrazia ragazzi.


Fonti:

[1] Comune di Roma Capitale, Risultati elezioni supplettive Camera dei Deputati, https://www.elezioni.comune.roma.it/

[2] Eligendo, Ministero dell’Interno, https://elezioni.interno.gov.it



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