Quando muore una democrazia – Vent’anni dal G8 di Genova tra luci e ombre
- Barbara Alba
- 20 lug 2021
- Tempo di lettura: 5 min

19-22 Luglio 2001. “Genova è un prima e un dopo, è un ricordo distorto, un luogo in cui non sono più tornata e di cui faccio fatica ad avere un’immagine completa. Gli scudi serrati, gli elmetti abbassati, i lacrimogeni sulla testa, i gas CS nella gola, il fuoco negli occhi. Genova è un luogo in cui devo assolutamente tornare per capire che cosa rimane, che segni ha lasciato il passato e se è possibile trasformare i ricordi parziali di ognuno in qualcos’altro, in qualcosa”. [1]
Così Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale, ricorda cosa hanno significato i fatti di Genova per lei che li ha vissuti in prima persona. Per le nuove generazioni è difficile comprendere fino in fondo cosa accadde tra le strade di Genova in quei giorni, vista anche la volontà dello Stato Italiano e delle istituzioni di imporre il silenzio sul dopo, così come aveva voluto mettere il silenzio al dissenso. La scelta di tenere il G8 a Genova fu accolta da innumerevoli polemiche, poiché già la conformazione della città la rendeva poco adatta ad accogliere un evento di tale portata. Fu come un disastro annunciato e le paure sollevate da coloro che la contestavano furono confermate.
La storia del G8 del 2001 si riassume in una dicotomia stridente: da una parte, quella della cornice dorata di Palazzo Ducale, tirato a lucido per l’occasione su direttiva dell’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che si apprestava a ricevere i capi di Stato delle maggiori potenze economiche mondiali, dall’altra si ritrovarono movimenti internazionali, organizzazioni non governative che decisero di manifestare contro la globalizzazione per chiedere più controlli sullo strapotere delle multinazionali, sul riscaldamento globale, sulle disuguaglianze sociali sempre più nette e le politiche migratorie sbagliate. Letti a distanza di vent’anni, i motivi che portarono in piazza il social Forum erano gli stessi che ci inquietano oggi e sembrano quanto mai attuali.[2] In quei giorni, i treni per Genova viaggiavano stracolmi di studenti, sindacalisti, politici: tutti volevano esserci per far sentire la loro voce. [3]
Le manifestazioni erano parte delle proteste partite dai movimenti No-global del 1999 a Seattle, durante l’incontro dell’Organizzazione mondiale del Commercio. Il G8 di Genova fu il punto d’arrivo e l’inizio della fine del movimento No-global che assunse un livello di risonanza mondiale, mai più raggiunto da nessun’altra organizzazione non governativa.
Il 19 Luglio si svolse la prima manifestazione, che vide sfilare 50.000 persone, e che si svolse in maniera del tutto pacifica. Ma il 20 Luglio, improvvisamente, cambiò lo scenario con gruppi di Black bloc che misero in atto azioni di guerriglia urbana, mettendo a ferro e fuoco alcune zone della città. I Black bloc non avevano nulla a che fare con i reali intenti delle organizzazioni giunte a Genova per manifestare pacificamente, ma allo stesso tempo ebbero il ruolo di fomentare la rabbia della polizia nei confronti dei manifestanti. Quel giorno, alle 15 in Piazza Alimonda, dopo un’iniziale pacifica manifestazione, i carabinieri iniziarono ad accanirsi sui manifestanti con gas lacrimogeni, e questi ultimi, messi alle strette, reagirono; fu allora che uno dei carabinieri, Mario Placanica, che si trovava a bordo dell’auto sparò, colpendo alla testa il giovane Carlo Giuliani, che fu poi investito dall’auto dei carabinieri per ben due volte. Quando i soccorsi arrivarono Carlo Giuliani era già morto.
Il giorno seguente, le manifestazioni ripresero in un clima di enorme tensione e i continui attacchi di gruppi violenti e sovversivi prestò il fianco alla Polizia per nuovi attacchi con gas lacrimogeni e pestaggi. La sera del 21 Luglio, in seguito alla conclusione del corteo, alcuni manifestanti trovarono alloggio presso la scuola Diaz, concessa dal Comune di Genova come sede Media Center al Genova Social Forum. Gli scontri sembravano finiti, quando, durante la notte, centinaia di agenti in tenuta antisommossa fecero irruzione nella scuola. Fu un massacro, con giovani inermi su cui si scagliò la furia brutale degli agenti. Il Vicequestore di Genova Michelangelo Fournier definì quella notte come “un pestaggio da macelleria messicana”. Alla Diaz fu messa in piedi una vera e propria spedizione punitiva, nel tentativo maldestro di riacquistare credibilità dopo che la città era stata distrutta sotto gli occhi di tutti, senza che si fosse riusciti ad evitarlo. E la furia punitiva continuò nella caserma di Bolzaneto, dove gli arrestati verranno sottoposti a sevizie, minacce, umiliazioni.
In quei tre giorni a Genova, la Costituzione e la Democrazia sprofondarono, annientate sotto il peso incontrollato di un sistema andato fuori controllo. La Polizia, organismo di garanzia che dovrebbe difendere lo Stato e le sue leggi e non cadere sotto il peso del potere, annullò qualsiasi diritto. Perché c’è un limite invalicabile, quello della dignità umana, che non può essere calpestata ad ogni costo. Giulietto Chiesa scrisse: “Tutto questa storia ci ha messo di fronte a nuovi interrogativi: uno dei quali ci impone di sapere come è costituita la polizia italiana, chi la comanda. Sapere qual è il tasso di democrazia di carabinieri e polizia è di nuovo una questione vitale per il futuro dell’Italia”. [4]
Dopo Genova rimasero i processi, vergognosa conclusione di questa pagina buia della nostra storia, che hanno perlopiù lasciato impuniti i reati commessi, tra sopraggiunte prescrizioni dei reati e impossibilità di dimostrare gli eventi accaduti o di identificare gli agenti e tutto si è risolto con condanne inconsistenti rispetto alla portata di quegli accadimenti. Lo Stato Italiano ha rifiutato persino di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sul G8 di Genova, con il chiaro intento di evitare una presa di coscienza.
Nel 2017, dopo la sentenza della Corte di giustizia Europea, che ha condannato l’Italia per i fatti di Genova, il Parlamento ha emanato una legge di introduzione del reato di tortura all’interno del codice penale, fino ad allora assente e che avrebbe fatto sì che molti di quegli agenti non rimanessero impuniti. A distanza di vent’anni, l’istituzione di una commissione sarebbe la giusta ricompensa per Carlo Giuliani, vittima di una gestione maldestra dell’ordine pubblico, e per coloro che portano addosso le ferite inferte da uno Stato che, offuscato dalla rivendicazione di credibilità, ha dimenticato di essere civile.
Negli ultimi vent’anni innumerevoli fatti non hanno smesso di ricordarci che il sistema organizzativo delle forze dell’ordine richiede una necessaria revisione, in materia organizzativa ma soprattutto identificativa. Più volte si è sottolineato, a partire dai fatti avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Avetere, che è indispensabile la previsione di un numero identificativo che permetta un riconoscimento immediato degli agenti, come avviene in numerosi paesi in Europa e nel mondo. Nell’attesa, non ci resta che fare memoria, per assicurarsi che le nuove generazioni acquisiscano la giusta consapevolezza perché non riaccada mai.
Fonti:
[1] Da “Limoni” podcast di Internazionale in memoria dei vent’anni di Genova
[2] G.Prestigiacomo, G8 Genova 2001, P.73
[3] Dal Podcast Limoni. Il G8 di Genova, terza puntata
[4] Da G8 Genova di Giulietto Chiesa, P.78
Fonti e materiali usati per l’articolo e consigliati alla lettura/visione:
- G8 Genova 2001. Storia di un disastro annunciato, di Gianluca Prestigiacomo, ed. Chiarelettere;
- Diaz. Don’t clean up this blood, di Daniele Vicari, Netflix;
- L’eclisse della Democrazia, di Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci, ed. Feltrinelli;
- Limoni. Il G8 di Genova Vent’anni, Podcast di Internazionale su Spotify;
- No Logo di Naomi Klein, per comprendere i movimenti No-global di fine anni ’90.
Foto in copertina: Genova 20/07/2001 G8, Manifestanti no global durante gli scontri con la polizia (Fonte: Risorgimento socialista)
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