Il diritto al lavoro oltre la retorica
- Giulio Ardenghi
- 2 dic 2020
- Tempo di lettura: 3 min

Nel 2014, il miliardario Americano Michael Bloomberg, riferendosi all’ondata di licenziamenti tra i minatori che la regione degli Appalachi stava attraversando in quegli anni, dichiarò: “Non insegni a un minatore a programmare. Mark Zuckerberg dice che basta insegnare alla gente a programmare e tutto andrà alla grande. Non so come fare a dirvelo… Ma no.”[1]
Il suo commento venne preso come evidenza sia del paternalismo dei super ricchi come Bloomberg, sia dell’indifferenza e arroganza delle élite dell’industria informatica e dei mass media. Ironia della sorte volle che, nel 2019, l’ondata di licenziamenti si ebbe tra il personale di testate giornalistiche come BuzzFeed, e stavolta furono proprio i giornalisti licenziati a venire sprezzantemente invitati dagli utenti della rete a imparare a programmare, usando l’ormai diffusissimo slogan learn to code.
Anche se i contesti geografici e culturali sono diversi, è facile imbattersi in entrambi questi atteggiamenti anche nel nostro paese. Questo è particolarmente vero nel caso dei giovani che cercano un impiego e si ritrovano involontariamente a essere vittime di pregiudizi e generalizzazioni che non possono che diventare un’ulteriore fonte di stress. Dalle chiacchere da bar ai commenti di coetanei più “svegli”, fino ai titoli sensazionalistici dei giornali e ai post dei guru del network marketing sponsorizzati su Facebook, il discorso è sempre quello: da una parte c’è il fatalismo di chi parla come se trovare lavoro fosse assolutamente impossibile e cercarlo fosse una sconfitta annunciata, dall’altra l’indifferenza di chi dice che avere un’occupazione è un gioco da ragazzi, basta sapersi “inventare il lavoro”. Se la prima visione è problematica perché apre le porte all’accettazione di impieghi malpagati e/o in nero e all’idolatria nei confronti di grandi aziende e imprenditori che “vengono a portare il lavoro”, la seconda lo è perché non tutti hanno l’istruzione e le competenze di moda in un determinato momento, né le risorse o la formazione culturale per andare lontano anche qualora si mettessero in proprio.
Se le posizioni che abbiamo appena visto sembrano contrapposte, in realtà nascondono un presupposto comune: entrambe sottintendono che è il mercato l’unico dominatore dei sistemi e delle risorse e accettano l’assunto neoliberista che è giusto che le cose stiano così. In quest’ottica, il libero mercato è il bene assoluto a cui tutta la società deve tendere e ognuno deve scegliere tra il trovare il modo di contribuire a ciò e l’accettare di venire lasciato indietro. Perciò, il problema principale delle due posizioni prese in analisi non è tanto che siano false, ma è piuttosto quello che vanno implicitamente a giustificare. Tuttavia, rassegnarsi è di rado la soluzione migliore.
L’articolo 23 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani recita: “Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione”[2].
L’articolo 4 della Costituzione Italiana afferma: “ La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.[3]
La Costituzione vede il lavoro come un diritto e dovere civico di ognuno. Questo non significa che lo Stato abbia il dovere di dare un lavoro a ogni cittadino (come non significa che chi ha abbastanza soldi da potersi mantenere senza lavorare sia costretto a farlo), ma che deve fare in modo di creare condizioni favorevoli all’occupazione significativa e giustamente retribuita per i cittadini.
In altre parole, nessuno dovrebbe pensare, o essere messo nelle condizioni di pensare, che avere un lavoro sia un favore che gli viene concesso o un privilegio riservato a pochi. Avere un buon lavoro è un diritto che ognuno di noi ha la facoltà di reclamare a gran voce.
Questo articolo non vuole far passare il messaggio che trovare lavoro sia facile, poiché purtroppo i dati sull’occupazione nel Sud e nelle Isole o nel caso dei giovani parlano chiaro, ma invita a non colpevolizzarci per danni che non abbiamo causato noi e a non scoraggiarci nel cercare qualcosa che ci spetta, perché non dobbiamo imparare ad avere diritti.
[1]Fehrenbacher, Katie (2014) “Michael Bloomberg: You can’t teach a coal miner to code”, Gigaom, 9 aprile, consultato il 1/12/2020. URL: <https://gigaom.com/2014/04/09/michael-bloomberg-you-cant-teach-a-coal-miner-to-code/> [2]Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, 1948 [3]Costituzione della Repubblica Italiana, 1947
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