Dentro lo studio di Mauro Rizzo: una visione lucida dell’adesso
- Maria Francesca Mainas
- 28 giu 2021
- Tempo di lettura: 4 min

Dal 25 al 29 giugno 2021 Cagliari ospita la seconda edizione di Open Studios, progetto indipendente, in cui gli artisti cagliaritani aprono le porte dei propri studi ai visitatori. Una delle tante sedi aderenti al progetto è lo studio di Mauro Rizzo che accoglie, in una suggestiva atmosfera, non solo le opere dello stesso pittore ma di tanti giovani artisti cagliaritani: Alessia Piludu, Flavia Pili, Martina Piras e tanti altri.
In via Principe Amedeo n.37 troverete una piccola porticina che, una volta varcata, vi farà entrare in un mondo parallelo in cui la cultura è in movimento; il muro della superficialità viene abbattuto per andare oltre, in una dimensione in cui la parola chiave è passione.
Troverete le più varie espressioni dell’arte, dalla pittura all’architettura. Iconici in quest’ultimo ambito i progetti di Alessia Piludu, studentessa di architettura presso il Politecnico di Milano, espressione di una perfezione ricercata in cui le scienze e la manualità si fondono alla perfezione.
Ho avuto il piacere di conoscere una giovane pittrice cagliaritana; il nostro incontro è stato delicato come la sua arte. Il suo nome è Martina Pias, laureata in filosofia. Per lei la pittura è sempre stato un modo per esprimersi, svagarsi, una fuga dal mondo circostante. La sua arte nasce spontaneamente, è un proiectum: gettarsi avanti, oltre l’errore e il progetto prefissato. Significa creare un qualcosa che non corrisponde né a quello che era, né a quello che sarà ma che è comunque tutto suo. La sua visione, il suo animo gentile, la sua sensibilità si riflettono nelle sue opere: decise, incisive ma eteree allo stesso tempo.
Questo evento vi consentirà di avere dei dialoghi informali con gli artisti presenti in loco. Con un salto nel tempo, lo studio si è trasformato in un luogo di vivace confronto culturale. Sarete accolti non come semplici visitatori, ma come amici di vecchia data. Proprio per questo ho avuto l’occasione di porre alcune domande a Mauro Rizzo, proprietario della MAraM artLOFT studio.
Qual è la condizione dell’artista sardo?
L’artista sardo vive della forza del suo isolamento, coltiva il suo laboratorio in maniera silenziosa. Non necessariamente il contatto con l’esterno porta qualità, ma la qualità nasce dall’isolamento e dalla riflessione sull’arte. È innegabile comunque che in Sardegna le occasioni di contatto con l’esterno sono rare.
Questo evento dimostra che voi artisti di Cagliari siete in contatto: nella vostra arte c’è un’anima comune o riportate tutti delle caratteristiche diverse della realtà che ci circonda?
Ognuno racconta il proprio mondo. In alcuni casi qualcuno lo fa in maniera forzata, per essere riconoscibili e per brandizzare il proprio prodotto. Questa non è la mia visione anche se ne sono incuriosito. L’arte è sempre dubbio, pathos. È legata al patire, al sentire, l’entrare dentro le cose e questo succede solo quando affondi le radici. Va bene tutto, però è necessario saperla vedere.
È necessaria una maggiore sensibilità nei confronti dell’arte? Qual è secondo te il suo rapporto con l’educazione?
Tutto è perfetto così com’è, nulla deve essere forzato. La maturazione e la sensibilità verso l’arte non devono avvenire per costrizione ma per flusso. Se il flusso è lento, bisogna accettarlo. Sono rapporti di causa-effetto infiniti che provengono da lontano, non puoi farci niente. Però, se sei in uno stato di grazia, lo accetti.
Abbiamo parlato di affondare le radici: è proprio grazie a queste radici che, nonostante le poche possibilità presenti nell’isola, tu sei rimasto?
È l’idea dello spostamento, è il sentirsi lontano; ma questa, a mio parere, è una visione limitata. I posti fisici, prima o poi, stringono sempre. Non bisogna vivere in uno stato di accettabile infelicità, ma in uno stato di letizia. È difficile dare una definizione di questo stato. Bisogna essere capaci di andare oltre con la mente. Ci possono anche catapultare in un luogo straordinario ma se non abbiamo la giusta percezione di chi siamo, cosa siamo, cosa vogliamo non riusciremo comunque ad apprezzarlo. Bisogna studiare, lavorare, sacrificarsi, bisogna stare dentro la capacità di sopportazione dell’isolamento.
Come hai vissuto il lockdown?
Sono stati due anni da Dio. Sono andato in campagna, ho riflettuto sui lavori precedenti ma anche sulla produzione di nuovi e ho dipinto tutti i lavori che sto per spedire alla galleria di New York. In particolare, è nato il progetto “Insetti Alieni”, termine utilizzato in biologia per indicare ciò che non è del territorio. Tutto è nato con un lavoro realizzato due anni fa presso il carcere di Buon Cammino, dove ho fatto un’analisi sulle celle. Le celle sono molto interessanti perché raccontano il bianco e il nero, il sacro e il profano. Si racconta un po’ l’essere umano al confine. Dalla cella e dalla ricerca dell’archetipo è nato questo nuovo progetto.
Questi brevi estratti della chiacchierata appena riportata esprimono l’esigenza di un’arte lenta, sentita, espressione di una ricerca continua. Arte che non vuole necessariamente puntare i piedi per essere sentita, ma che è disponibile per chiunque voglia percepirla.
Come diceva Vladimir Majakovskij: “l’arte non è uno specchio per riflettere il mondo, ma un martello per forgiarlo”. È uno strumento potentissimo perché riesce a unire il diverso, educa al rispetto delle percezioni altrui.
Gli Open Studios valorizzano un patrimonio artistico che, seppur invisibile per molti, vive e si sviluppa nella nostra città. Se le istituzioni riuscissero, in misura sempre crescente, ad andare al tempo dell’arte si potrebbe pienamente valorizzare l’arte da cui siamo circondati.
Questo evento rappresenta un ritorno alla normalità, è una rivincita sul tempo sospeso vissuto in questo anno: colori che colpiscono in un momento di intenso grigiore e che gridano a gran voce che l’arte è viva. In un periodo in cui tutto si è fermato, questo evento è speranza di vitalità. In fondo questa è solo una dimostrazione che non abbiamo mai smesso di sognare e, se lo abbiamo fatto, non è mai troppo tardi per riprendere.
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