La ragazza che venne a “c****e” in Sardegna: l’esodo giuliano-dalmata
- Emanuele Orrù
- 10 feb 2021
- Tempo di lettura: 3 min

Nonna mi raccontò, quando alle superiori studiai gli eccidi delle Foibe, che nella sua classe alle scuole superiori di Sassari, nella seconda metà degli anni ‘50, c’era una ragazza che non era sarda, non aveva nulla di sardo, era alta e bionda e aveva un cognome strano.
I ricordi di nonna si fanno sbiaditi, come una vecchia foto. Lei era una delle uniche amiche in classe; la ragazza, infatti, veniva snobbata da molte delle sue compagne, era taciturna e andava molto bene a scuola, forse per questo non era simpatica, o ameno nonna dava questa lettura non sapendo i connotati politici che invece l'origine della ragazza aveva. Ogni volta che lei faceva un'osservazione, le altre ragazze le rispondevano stizzite “ma perché sei venuta a c****e in Sardegna?” come per dire “ma se non ti va bene questa cosa poi benissimo tornare da dove ne sei arrivata”.
Nonna non sapeva infatti che la ragazza alta, bionda con un cognome strano anche volendo non sarebbe potuta tornare nella sua terra d’origine.
Il motivo era semplice e sconosciuto all'epoca: era un'italiana nata in quella che sarebbe poi diventata terra di Jugoslavia e tra le politiche che il maresciallo Tito portava avanti in quegli anni c'era la jugoslavizazzione delle terre.
Mentre lei era alle superiori era da poco finito l’esodo degli italiani delle terre istriano-dalmate in altre regioni italiane tra cui la Sardegna; al confine tra l’Italia e la Jugoslavia cerano ancora schermaglie e Trieste era tornata da un anno italiana.
Nei mesi subito prima della resa italiana e nei mesi subito dopo (in questo la storiografia deve ancora sentenziare l’arco temporale corretto) oltre all’epurazione degli italiani, si verificò anche il fenomeno dell’infoibamento che vide l’uccisione di civili e militari di origine italiana, gettati all’interno di cavità profonde di origine carsica (le foibe appunto) e lì sepolti (vivi o morti).
Il 30 marzo 2004, con la legge n.92 fu istituita la Giornata del Ricordo proprio in memoria di questa tragedia accaduta lungo il confine orientale.
Il tema dell’articolo non è dibattere o meno sulla natura storiografica della tragedia delle foibe, ma ricordare che anche la nostra isola fu meta di approdo degli esuli, motivo per cui ancora oggi in Sardegna sono presenti importanti comunità giuliano-istriano-dalmate.
Nessuno voleva questi cittadini italiani che fuggivano dalle persecuzioni; in quegli anni non si capiva bene il motivo per cui tutte queste persone scappassero. La propaganda titina, le dipingeva come fascisti, o almeno questa erano le notizie che arrivavano qui in Italia e Sardegna, ma nessuno sapeva bene ciò che era successo oltre il confine.
Il trasferimento dei profughi in Italia mostra numero provvisorio di circa 150.000 persone, 136.116 sistemate nel Centro-Nord e solo 11.175 persone nel Sud e nelle isole.
In Sardegna la più numerosa di queste comunità è a situata a Fertilia; nel paese dell’algherese è stato eretto un grande obelisco il cui vertice è dominato dal leone di San Marco a cui è intitolata la piazza e la chiesa nella stessa piazza. Il 10 febbraio la comunità si raccoglie in preghiera per ricordare quella triste pagina di storia che non vide né vincitori né vinti.
Oggi il dialogo tra le parti inizia a entrare nel vivo, lascia la retorica politica per dar vita ad un dialogo più storiografico e scientifico, poiché i libri di storia sono ancora orfani di molti passaggi.
Ad oggi le repubbliche di Croazia e Slovenia contano ancora circa 40.000 italiani ed essi sono riconosciuti come minoranze nazionali.
Foto in copertina: Esule giuliana (Fonte: Wikipedia)
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