Antares: la forza positiva del vuoto
- Matteo Scarpellini
- 30 mag 2024
- Tempo di lettura: 4 min

Quando ci capita di voler osservare meglio un qualcosa, spesso succede o perché siamo attratti da come la luce ci si riflette sopra, o perché si nota una cura al dettaglio particolarmente ricercata, o addirittura perché siamo incuriositi da come i segni nel materiale di cui è composto ne raccontino la sua storia.
Tutto questo è quello che ci fa provare l'opera d'arte realizzata da Federico Meli, in arte Iko Giongo, insieme a Gabriele Mura, mastro falegname di Samugheo, e Lussorio Sini, intagliatore professionista di Borore. Questi ultimi due ragazzi hanno dedicato la loro vita a portare avanti il mestiere di famiglia e la loro storia si è intrecciata a quella dell'autore dell'opera, la cui famiglia è invece maggiormente legata al mondo dell’arte, che nel tempo si è dedicato sempre di più alla street art e ai tatuaggi. L’unione sociale di queste tre personalità è il prodotto dell’Istituto d’arte di Oristano e anche la dimostrazione di come, ancora oggi, gli artigiani di mestiere siano in grado di realizzare opere d'arte che trasmettono sensazioni forti degne di un posto speciale in un museo di arte contemporanea.
Se un lato di quest'opera racconta la quotidianità dei suoi realizzatori, l'altro si lega alla storia dell’arte sarda come un continuum del percorso dei grandi maestri, ma anche dell’arte tessile sarda del museo MURATS di Samugheo. Il prodotto di 600 ore di lavoro a testa è una moltitudine di segni e simboli che oltrepassano l’esperienza dei singoli autori, e si ricollegano alla tradizione che la popolazione sarda odierna si porta sulle spalle. La dea madre è così interpretata con una chiave di lettura contemporanea, in grado di raccontare meglio i nostri tempi.
Il telaio è la cornice dell’opera, ma anche il simbolo della tessitura, così come i fili, che rievocano Maria Lai, e permettono la sospensione dell’opera non solo fisicamente, ma anche idealmente, tra passato e presente. Il velo in legno evoca una figura femminile che avvolge il feto e diventa una corazza dalla frenesia della vita. Il vuoto interiore è in netto contrasto con la pienezza della tipica rappresentazione della dea madre: simbolo di prosperità nella tradizione, diventa simbolo di protezione nel contemporaneo, e rievoca lo stesso legame materno che Francesco Ciusa esprime nel La Madre dell’ucciso. La rotondità si ritrova nelle forme in basalto del nascituro, che, inquadrato dal ventre in rame lucente, diventa il protagonista dell'opera. Così come la volontà di Pinuccio Sciola era quella di rendere la pietra organica e viva mediante il suono, così Antares accoglie il simbolo della vita nel suo grembo.
Se la storia di questa statua sembra nascere ben prima dell’esperienza dei suoi autori, lo stesso vale per il materiale principale utilizzato per realizzare l’opera: un castagno quasi centenario, che dopo essere stato abbattuto e abbandonato, viene recuperato per un nuovo scopo. È così che la debolezza del blocco grezzo, il cui DNA è stato intaccato dalla malattia, si trasforma e diventa uno scudo simbolo di forza. Il messaggio che rappresenta è certamente positivo: la volontà di compiere un grande sforzo per modellare la fragilità e convertirla in una forza d’animo in grado di creare nuova vita.
Sono convinto che anche Iko, Gabriele e Lussorio abbiano avuto esperienza di ciò durante i 18 mesi della realizzazione di Antares, soprattutto quando i loro piani iniziali sono cambiati a causa di un grosso imprevisto. La statua infatti era stata inizialmente concepita come un pezzo unico, ma in corso d’opera, dato il complesso disegno e la struttura biologica compromessa del legno, la parte del ventre e del bambino non ha resistito e si è staccata dal velo in legno. La sensazione di vuoto che la statua esprimeva visivamente ha probabilmente combaciato perfettamente con la sensazione che i suoi autori hanno provato internamente. Nonostante questo sono andati avanti e forse è proprio da qui che hanno scelto il nome Antares, che vuol dire anti Ares, ossia “opposto a Marte”, il dio della guerra. Questo era solo un piccolo aneddoto, che non sarà visibile a chi la osserva, ma che, inconsciamente, la rende ancora più iconica.
Federico Meli - in arte Iko Giongo. Dopo aver frequentato l'Istituto statale d'arte di Oristano, studia e rivisita disegni e simbolica sarda dei tappeti applicati poi nel campo del tatuaggio, nel quale si identifica e si contraddistingue. Dal 2022 è presidente dell’associazione Skate Unidos con lo scopo di promuovere I 'arte e lo sport di strada. Collabora con i vecchi compagni di scuola in collettiva nella realizzazione di sculture multi-materialistiche basate prevalentemente su legno, ferro e pietra nel concetto di unione e condivisione di concetti e pensieri.
Gabriele Mura - mastro falegname di Samugheo . Lavorando con passione, dedizione, impegno e cura, osserva il mondo che lo circonda e i trend di settore per restituire ai clienti oggetti di artigianato di qualità. Dal 2017 prende parte a “Tessingiu", mostra dell'artigianato sardo a Samugheo. Nel 2020, in occasione della mostra "Mediterranea" organizzata dalla Camera di commercio di Oristano, nasce a tutti gli effetti la collettiva d'arte applicata con Lussorio Sini, Federico Meli e Roberto Brundu.
Lussorio Sini - intagliatore professionista di Borore. Dall' età di 15 anni impara l'arte della lavorazione del coltello sardo, appresa dal padre Mario, che attualmente pratica come secondo lavoro. Dopo aver frequentato l'Istituto statale d'arte di Oristano, si dedica all'intaglio del legno e del corno realizzando piccoli e medi manufatti artistici. Dal 2017 collabora con vecchi compagni di scuola in collettiva nella realizzazione di sculture multi-materialistiche basate prevalentemente su legno, ferro e pietra nel concetto di unione e condivisione dell’arte.
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