Alla scoperta del sessismo benevolo
- Giulio Ardenghi
- 28 nov 2020
- Tempo di lettura: 3 min

Scriveva Helen Andelin nei primi anni Sessanta: “Se la galanteria è morta, le donne l’hanno uccisa. L’hanno uccisa diventando capaci, efficienti e indipendenti, in grado di risolvere i loro problemi. (…) Per risvegliare la galanteria, dobbiamo ritornare alla femminilità. Dobbiamo smettere di fare cose da maschi e diventare le donne gentili, tenere e dipendenti che siamo state progettate per essere, donne che hanno bisogno della cura e della protezione maschile.”[1]
Non è difficile trovare citazioni come questa se si cerca tra le pagine dei social network più famosi, specialmente quelle che cercano di rappresentare una femminilità “pura”, che viene fatta risalire a tempi in cui non v’era traccia di cose come il femminismo e i gender studies. Allo stesso modo, non è difficile notare come gli stereotipi di genere propagati nella citazione siano diversi da quelli a cui di solito pensiamo quando parliamo di sessismo. Come possiamo valutare questo fenomeno?
Una soluzione ce la suggeriscono Peter Glick e Susan T. Fiske i quali, nel 1996, introducono il concetto di sessismo ambivalente. In sostanza, il sessismo per loro ha due facce spesso complementari: una ostilee una benevola. Se la prima ha bisogno di poche spiegazioni, è la seconda che viene tenuta raramente in considerazione, poiché consiste nell’attribuire alle donne delle caratteristiche e dei ruoli che non sono sempre negativi in sé, pur essendo ristretti e stereotipati. Pertanto, il sessismo benevolo non sempre è considerato offensivo o oppressivo da chi lo riproduce o chi lo riceve, e non è raro che tra chi lo difende e propaga ci siano molte donne.
Ad esempio, una donna che, sul posto di lavoro riceve più complimenti per caratteristiche considerate “femminili” come bellezza e gentilezza di quanti ne riceve per la sua serietà e efficienza può sicuramente dire di star subendo del sessismo benevolo.
Occorre sgombrare il campo da un equivoco: parlare di sessismo benevolonon consiste in nessun modo in una giustificazione di questo fenomeno. Glick e Fiske anticipano quest’obiezione con un disclaimer: “(…) non siamo stati in grado di scoprire una parola che renda bene le connotazioni di dominanza e le origini soggettivamente positive di questa forma di sessismo (…) speriamo che sessismo benevolo, come il termine dittatore benevolo, trasmetta bene la combinazione che intendiamo”.[2]
Inoltre, bisogna ribadire che il problema che il sessismo benevolo comporta non è che tenerezza, gentilezza etc. siano in realtà tratti negativi (sono tratti estremamente positivi). Il problema è l’associare questi tratti con la femminilità, il pensare che le donne possano essere solo tenere e gentili e che solo le donne possano essere tenere e gentili. Spesso questa mentalità si traduce da una parte nel pensare che ci sono alcuni comportamenti o lavori che sono “da uomini” perché richiedono una buona dose di risolutezza o pensiero critico che le donne non possiederebbero, e dall’altra nel fare discriminazioni contro quegli uomini che sono particolarmente emotivi o hanno maniere “troppo” gentili.
Tutto ciò non deve far pensare che un uomo che apre la portiera della macchina o offre la cena a una donna meriti necessariamente di venire accusato di sessismo. Ciò che è sbagliato sarebbe fare queste cose perché si pensa che l’uomo abbia sempre il ruolo di “protettore” che porta a casa il pane e che la donna debba rimanergli fedelmente sottomessa.
È proprio qui che il legame tra il sessismo benevolo e la sua controparte ostile diventa lampante: la donna viene incoraggiata a trovarsi un partner che possa provvedere economicamente per lei, ma poi accusata di guardare solo il conto in banca di un uomo e di disinteressarsi delle sue virtù e sentimenti; essa viene incoraggiata a fare della bellezza, del sex appeal e delle buone maniere i suoi punti di forza principali, ma poi ingiuriata quando fa esattamente quello.
Forse la soluzione sta nello smettere di categorizzare le persone a priori per la loro appartenenza a un gruppo (in questo caso il genere) e apprezzare la variabilità individuale e le peculiarità di ogni singola persona.
[1]Andelin, Helen: Fascinating Womanhood– updated edition, pag. 189, Bantam Books, New York City (USA), 1992 [2]Glick, Peter e Fiske, Susan Tufts: The Ambivalent Sexism Inventory: Differentiating Hostile and Benevolent Sexism, pag 491,pubblicato nel Journal of Personality and Social Disordernel marzo 1996
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