Non di solo progressismo vive l'uomo
- Paolo Falqui
- 15 lug 2024
- Tempo di lettura: 6 min
L’ascesa del conservatorismo, riaffermata dal buon risultato di Rassemblement National in Francia, è un fenomeno fisiologico in momenti di grandi cambiamenti economici e sociali.

Il secondo turno delle elezioni francesi ha regalato un risultato a sorpresa, visto che dopo due tornate elettorali vinte dal partito di estrema destra Rassemblement National (le Europee e il primo turno) alla fine la sinistra è riuscita ad assicurarsi di nuovo la maggioranza relativa in parlamento, anche se per formare il governo dovrà necessariamente puntare a una larga coalizione. Nonostante il risultato finale, non si può certo pensare che la votazione francese vada in controtendenza con quello che abbiamo visto ultimamente in Europa, ovvero lo spostamento dell’elettorato sempre più a destra. Il partito di Marine Le Pen e Jordan Bardella è risultato infatti ampiamente il più votato (37,1% contro il 25,8% del Nouveau Front Populaire e il 24,5% di Ensemble), penalizzato solo dal sistema elettorale peculiare utilizzato in Francia e dal ritiro incrociato di candidati tra le formazioni di Melechon e Macron. [1]
Comprendere l’origine della crescita di Rassemblement National, come quella di Fratelli d’Italia, AfD e molte altre formazioni di estrema destra in Europa, diventa dunque sempre più importante per capire il periodo storico attuale, che si caratterizza per un ambiente che è possibile definire “reazionario”. Con l'avversione all’immigrazione, alle nuove sessualità e identità di genere, all’Europa e in generale a tutto ciò che richiama la globalizzazione, la destra europea riesce a canalizzare meglio il disagio sociale crescente, mentre la sinistra arranca senza apparentemente riuscire a trovare la chiave; la stessa Marine Le Pen ha dichiarato che “la vittoria è solo rimandata”, e non si stenta a crederle. Eppure tutto ciò non è una casualità e, come tutti i fenomeni politici, ha una radice sociale molto profonda.
Nella branca della sociologia che si occupa delle organizzazioni è fondamentale un concetto a cui poco spesso pensiamo, la resistenza al cambiamento. In generale qualsiasi modificazione dello “status quo”, sia esso un’abitudine, un modo di lavorare o dei riferimenti valoriali, causa nelle persone che lo soffrono un rifiuto istintivo, derivato dal fatto che percepiamo il cambiamento come più rischioso dello stare fermi: il vecchio detto “sai quello che lasci ma non cosa trovi” è particolarmente esplicativo in tal senso. [2] Se in ambito aziendale il problema è ben conosciuto e studiato, non si applica spesso la stessa metodologia al discorso politico, ignorando una componente fondamentale di ciò che stiamo vivendo in questi anni; se andiamo ad analizzare i discorsi dei principali esponenti delle destre, particolarmente in auge in questo momento come testimoniano una volta di più le elezioni francesi, possiamo osservare che hanno come pubblico oggettivo proprio i cosiddetti “resistor”, ovvero chi, angosciato dalla velocità vertiginosa con cui cambia il mondo, agisce da resistenza.
Pensiamo a com’era diverso il mondo anche solo 20 anni fa, prima della crisi economica del 2007: nonostante fossero passati anni dalla caduta dell’Unione Sovietica, la divisione ideale tra liberisti e socialisti era ancora la principale chiave di lettura dello scenario politico, immerso in un sistema economico di stampo capitalista “classico”, con riferimenti sicuri e che apparivano immutabili nonché generatori perpetui di benessere; il mondo stesso era ancora “enorme”, visto che internet era ancora solo un far west dalle possibilità neanche immaginate, i social erano in una epoca embrionale e il massimo dell’interconnessione erano le e-mail. Vent’anni dopo, il crollo dell’economia, la crescente automazione del lavoro e la pandemia da Covid-19 hanno cambiato profondamente il tessuto economico-sociale dell’Occidente, e l’esplosione di internet ha portato profondi cambiamenti a livello economico, lavorativo, sociale e valoriale che si trasmettono in modo globale in questione di minuti, mietendo vittime soprattutto nel ceto medio-basso e tra le classi meno scolarizzate, che si sono ritrovate con un lavoro pericolante, un tenore di vita più basso e, in definitiva, con poca o nessuna prospettiva di un futuro migliore e un presente fosco. [3]
Non deve sorprendere che la campagna elettorale di Le Pen, ma anche quelle di Salvini e Meloni prima, parlino proprio a questa moltitudine insicura, schiacciata tra il ricordo idealizzato di un passato più sicuro e la paura di un futuro senza certezze. In questo contesto si inseriscono i costanti riferimenti all’immigrazione, ai diritti civili, all’antieuropeismo e alla sicurezza: la promessa di un ritorno a un passato nel quale le regole erano chiare, che risulta una prospettiva rassicurante. Un passato, però, al quale è impossibile tornare, ora che il nostro stile di vita, il nostro sistema economico e di organizzazione del lavoro, persino la nostra organizzazione politica ed ideologica sono irrimediabilmente entrati in una nuova era della quale non sappiamo ancora leggere né le leggi fondamentali né le possibili evoluzioni.
Conscie dell'impossibilità di riavvolgere il nastro in termini economici, le destre si concentrano dunque su quegli elementi ancora non consolidati che possono dare l’illusione che almeno qualcosa sia rimasto, che ci sia ancora della terraferma da calpestare: l’idea di poter fermare un fenomeno così vasto e profondo come l’immigrazione, per esempio, ovvero l’illusione che gli italiani (o i francesi, o gli europei, eccetera) si chiamino ancora tutti Mario Rossi, che siano facilmente riconoscibili per il colore della pelle, per le tradizioni e la cultura, la rinuncia alla realtà multietnica e multiculturale delle città europee del 2024; o ancora l’insistenza nella difesa della “famiglia tradizionale”, la negazione degli studi di genere più recenti, il ritorno alla “normalità” intesa come l’insieme di conoscenze certe, di riferimenti che fino a poco tempo fa sembravano eterni come la distinzione tra uomo e donna o il matrimonio eterosessuale.
È questo che larghi strati della popolazione vota, il miraggio che si possa stare fermi, che un robot o la IA ci toglierà il lavoro ma perlomeno rimarrà qualcosa su cui poter fare affidamento per leggere la realtà: categorie cognitive che, nella loro antichità, continuino ad essere l’elemento stabile della nostra società. Non è un caso che le statistiche sulla distribuzione del voto risaltino come la destra stravince tra i ceti meno abbienti (storicamente vicini agli ambienti di sinistra) e sia meno forte tra i giovani: da un lato abbiamo le fasce che vedono messa a repentaglio la loro stabilità, che hanno meno strumenti per comprendere il digitale in tutte le sue forme e sono cresciuti in un periodo storico caratterizzato da confini netti e invalicabili sia in un senso pratico che, soprattutto, simbolico (la Cortina di Ferro, la contrapposizione tra Primo e Terzo Mondo, tra sinistra e destra); dall’altro invece ci sono le nuove generazioni che non hanno riferimenti storici differenti dalla realtà post-2007, vivono maggiormente i vantaggi di internet e delle nuove tendenze valoriali e non hanno nessuna posizione sociale ed economica da difendere, visto che sono nati e cresciuti in un mondo del lavoro che già non offriva nessuna loro quasi nessuna possibilità. Appare evidente come per i primi la bilancia tra guadagni e perdite del progresso penda decisamente dalla parte delle perdite, un sentimento profondo che le forze progressiste non sono riuscite finora a capire né tantomeno a canalizzare, determinandone la sconfitta.
La sinistra sembra veramente impotente in questo momento storico: non può appellarsi allo stesso sentimento conservatore e neanche sembra in grado al momento, salvo rare eccezioni, di esprimere una guida convinta e credibile dentro il cambiamento, condizione sempre necessaria per vincere le resistenze fisiologiche ad esso. La verità è che, perlomeno in Italia, i progressisti stanno iniziando solo negli ultimi tempi a capire veramente quello che sta succedendo, dopo anni in cui si sono dati giustificazioni superficiali, come fare riferimento alla scolarizzazione degli elettori, e non hanno saputo fare altro che invocare lo spettro del fascismo per sommare alla paura altra paura, strategie rivelatesi inefficaci nello smuovere l’opinione pubblica. Ma d’altronde il progresso umano non è una linea retta: ogni passo avanti è ottenuto avanzando di tre e retrocedendo di due, ad ogni spinta progressista ne segue una reazionaria; dalla Rivoluzione Francese alla Restaurazione, dai ruggenti anni 20 ai totalitarismi, l’importante è riconoscere il periodo storico in cui stiamo vivendo con lucidità per poter trovare nuove soluzioni a nuovi problemi.
Fonti:
[1] Lorenzo Ruffino, I risultati definitivi delle elezioni in Francia e nel Regno Unito, Pagella Politica, 8 luglio 2024, https://pagellapolitica.it/articoli
[2] Olga Pagano, La resistenza al cambiamento spiegata dalla psicologia, Igor Vitale, 27 marzo 2019, https://www.igorvitale.org
[3] Mario Dal Co, Automazione fa sempre rima con disoccupazione? Lo scenario italiano, Agenda Digitale, 24 dicembre 2021,
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